L'Alpinismo come manifestazione artistica

Area di discussione su argomenti di montagna in generale.

L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda lamontagnadiluce » ven mag 12, 2017 17:40 pm

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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda scairanner » ven mag 12, 2017 20:22 pm

Mah, non mi ha mai convinto la definizione di alpinismo come arte, anzi, la detesto, la trovo una forzatura che a mio modo di vedere non ha nemmeno ragione di esistere.
L'arte è principalmente creare, cosa c'è di creativo nel percorrere una linea che è costretta a congiungere due punti noti? Uno la base della parete l'altro la vetta, sulla quale convergono tutte le linee possibili? L'arte non si può prevedere, deve sorprendere.
Altrimenti tutti coloro i quali individuano e salgono una linea sono artisti, ognuno condizionato dalle proprie capacità, o forse lo sono solo quelli che salgono una nord del Cervino o dell'Eiger?
E anche trovare forme d'arte nella diversità degli stili dei vari alpinisti la trovo una forzatura, si chiama diverso momento storico, non arte.
Non vedo nulla di male a considerare l'alpinismo come una attività qualsiasi, come mille altre, che ognuno può interpretare e modellare a suo discrezione, senza a tutti i costi affibbiargli valenze che non gli appartengono.
Lasciamo l'arte ai veri artisti, la nostra è un'attività muscolare, di fatica, di tecnica, di appagamento personale estremamente variabili; nel mio piccolo, anzi piccolissimo, qualche via l'ho aperta: quando sei in parete pensi solo a trovare la soluzione migliore per procedere verso l'alto, il talento artistico è ben altra cosa, qui ci vogliono talento e capacità fisiche, se vogliamo (dipende dal tipo di salita) una certa dose di coraggio, un minimo di capacità logistiche, a volte intuito, insomma qualità che sono l'antitesi del concetto di espressione artistica, l'arte non è nemmeno conciliabile con un'attività come l'alpinismo, l'arte non si pianifica, non si può programmare, come allo stesso modo l'alpinismo non si può improvvisare; non c'è nulla da creare, c'è da salire, punto.
Arte e alpinismo li trovo all'estremo opposto, inconciliabili.
-Come sarà la scalata di Adam Ondra nel 2030?
-Arrampicherò di certo. Spero di non scalare peggio di quanto non faccia ora...


-meno internet, più cabernet
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda Danilo » lun mag 15, 2017 9:33 am

scairanner ha scritto:....

e troppo.severo.con se stesso
il forum è morto
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda VYGER » lun mag 15, 2017 13:56 pm

Telegrafico.

Nella valutazione dell'asserto ( :mrgreen: ), partirei dagli effetti.

L'alpinismo e/o l'arrampicata suscitano sentimenti di bello e di sublime in chi ne fruisce?
Secondo me, la risposta è: "sì".

Quindi, per sillogismo, alpinismo e arrampicata sono arte.

C'è una materia: il terreno.
E c'è una forma: l'interpretazione che l'apritore dà del terreno (linea, chiodatura).

A naso, quanti meno fix ci sono (o quanto più distanti sono), tanto più l'esperienza vissuta da chi apre o ripete si avvicina al sublime (segnala il contatto della persona con il mistero, il religioso, ciò che è oltre in senso mitico).
Invece la presenza di fix seriali rende seriale - di massa - anche l'itinerario. Un parallelo tra alpinismo, arrampicata sportiva e opera unica/opera di massa come espresso da Benjamin in "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" non è del tutto peregrino (sintesi qui: https://it.wikipedia.org/wiki/L%27opera_d%27arte_nell%27epoca_della_sua_riproducibilit%C3%A0_tecnica), anche in chiave di rilettura politica e di democratizzazione/demitizzazione del mondo.

Cf. p.e. Via attraverso il Pesce vs (che ne so) Egotrip.
O, le brevissime vie britanniche in stile tradizionale, che sviluppano attorno al proprio nome una mitologia spesso imponente, vs le vie protette serialmente nelle nostre falesie.

Non sto attribuendo valore a uno o all'altro approccio, eh?
E trovo molto stimolante proprio la lettura critica che del fenomeno dà Benjamin.

Ci sarebbe da meditare...
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda funkazzista » lun mag 15, 2017 14:33 pm

Quoto VYGER (ma... è possibile non quotarlo?) e aggiungo, continuando il parallelo con la musica e/o altre forme artistiche (o presunte tali :lol: ): c'è chi il bello e sublime lo trova nelle canzoni pop da 3 minuti, chi nelle Variazioni Goldberg, chi nel free jazz, ecc.
Ad ognuno il suo percorso.
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda Eionedvx » lun mag 15, 2017 16:22 pm



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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda Callaghan » lun mag 15, 2017 16:26 pm

argomento interessante, seppur manieristicamente onanistico, come lo è l'esposto del villaggio, pregevole nel suo tentativo.

mi verrebbe da fermarmi subito, comunque, in questa masturbazione, pensando alla sola "fruizione di un'opera d'arte".
e, mi si permetta, gli unici che fruiscono dell'alpinismo come opera d'arte sono gli alpinisti, ovvero 40 pirla. tutti invece possono fruire dell'opera d'arte naturale che sono le montagne, tramite i loro sensi, e possono darne un giudizio critico ed estetico.
tutti possono fruire di picazzo: in genere i più colti si accaniscono sui giudizi critici, dove chi sa può apprezzare tutta la semantica dell'opera, e farsi seghe del suo compiacimento, i più accattoni si limitano al giudizio estetico, tipo "fa cagare" (che, bada bene, equivale al "sublime!" emesso dal colto che si trova a fianco al pastore a guardare il dipinto).

VYGER ha scritto: L'alpinismo e/o l'arrampicata suscitano sentimenti di bello e di sublime in chi ne fruisce?
Secondo me, la risposta è: "sì".

Quindi, per sillogismo, alpinismo e arrampicata sono arte.

deboluccio.
se io tiro una scurengia di 55 secondi netti, e mi emoziono, vuol dire che produco arte? secondo me solo scoregge.

VYGER ha scritto:(...)
A naso, quanti meno fix ci sono (o quanto più distanti sono), tanto più l'esperienza vissuta da chi apre o ripete si avvicina al sublime (segnala il contatto della persona con il mistero, il religioso, ciò che è oltre in senso mitico).
Invece la presenza di fix seriali rende seriale - di massa - anche l'itinerario.
(...)
Non sto attribuendo valore a uno o all'altro approccio, eh?

a me non pare che tu non attribuisca, anzi. stai giudicando un manufatto (via clean-via seriale) applicando tue personalissime categorie di pensiero, e, di fatto, classificandole (sublime-seriale: nessuno a questo punto potrà non dire primo il sublime, secondo il seriale)
inoltre trovo la tua prima affermazione scorretta dal punto di vista logico-consequenziale: nella prima parte associ il numero di fix all'esperienza soggettiva dell'apritore; di contro poi non continui logicamente, dimenticandoti il paragone numero fix-sensazione apritore.
allora te lo chiedo io: come si sente l'apritore che butta dentro 400 tasselli? un apritore seriale, e, quindi, a quale tipo di esperienza va incontro? gode? vede la madonna? si astrae? si fa bullo? lavora a cottimo per far felici altri 40 pirla (brocchi, direbbe il maximo vater)?

quindi, visto che già croce benedetto ha fatto un gran casino su cose ben più nobili della pratica alpinistica, e riguardanti proprio l'arte e le sue definizioni, mi vien voglia di lasciar perdere in ulteriori e complicatissime dissertazioni filosofiche, e dire: bravi tutti, ma l'arte per me è altro.

se poi penso all'alpinista apritore medio, anche del sublime, tutto mi sovviene, a pelle, fuorchè dargli dell'artista.
ciao
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda #giacco# » lun mag 15, 2017 17:04 pm

ammesso che il parallelismo regga (e secondo me regge bene come elegante esercizio, meno come sostanza)
mi viene da distinguere tra arte e artigianato.
per come la vedo, non è tanto una questione di "arte e riproducibilità tecnica", quanto di diverse attitudini : in sostanza , artisti e artigiani, fruitori d'arte e estimatori d'artigianato.

chi va per terre alte e linee più o meno verticali può farlo da apritore o da ripetitore

l'apritore che segue il suo istinto, che sopperisce a un bisogno, una pulsione, a volte anche metafisica, può agire come un artista. è quello che apre per propria intima soddisfazione (o insoddisfazione...) e NON in funzione del se/come/da chi la via sarà o non sarà ripetuta
l'apritore che apre secondo una logica di ripetibilità/godibilità/sicurezza mi sembra simile a un artigiano.

non trovo che ci sia gerarchia tra le due figure, che semplicemente occupano spazi diversi.

colui che va a ripetere le vie altrui sarà più interessato alle opere dell'artista o al prodotto dell'artigiano, secondo indole e interessi.

mi pare che nella nostra comunità ci siano tantissimi che sanno apprezzare l'opera spesso pregevole dell'artigiano, tanti che ricercano le creazioni dell'artista.
ci sono diversi artigiani
ci sono pochi artisti
(ripeto: senza gerarchia di valore. Io per esempio sono solo un mediocre ripetitore di vie per lo più artigianali, ma sono ugualmente una persona stupenda :mrgreen: )

un po' come nella società reale di cui forse siamo un sottogruppo abbastanza numeroso da riprodurne la distribuzione macroscopica (fatto che, se dimostrato, farebbe sospettare che non siamo una piccola comunità di superuomini).

in merito alla scoreggia da 55 secondi, ci aveva pensato Manzoni con la Merde d'artiste. e adesso trovate il corrispondente arrampicatorio... :twisted:
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » lun mag 15, 2017 17:08 pm

VYGER ha scritto:Telegrafico.

Nella valutazione dell'asserto ( :mrgreen: ), partirei dagli effetti.

L'alpinismo e/o l'arrampicata suscitano sentimenti di bello e di sublime in chi ne fruisce?
Secondo me, la risposta è: "sì".

Quindi, per sillogismo, alpinismo e arrampicata sono arte.

C'è una materia: il terreno.
E c'è una forma: l'interpretazione che l'apritore dà del terreno (linea, chiodatura).

A naso, quanti meno fix ci sono (o quanto più distanti sono), tanto più l'esperienza vissuta da chi apre o ripete si avvicina al sublime (segnala il contatto della persona con il mistero, il religioso, ciò che è oltre in senso mitico).
Invece la presenza di fix seriali rende seriale - di massa - anche l'itinerario. Un parallelo tra alpinismo, arrampicata sportiva e opera unica/opera di massa come espresso da Benjamin in "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" non è del tutto peregrino (sintesi qui: https://it.wikipedia.org/wiki/L%27opera_d%27arte_nell%27epoca_della_sua_riproducibilit%C3%A0_tecnica), anche in chiave di rilettura politica e di democratizzazione/demitizzazione del mondo.

Cf. p.e. Via attraverso il Pesce vs (che ne so) Egotrip.
O, le brevissime vie britanniche in stile tradizionale, che sviluppano attorno al proprio nome una mitologia spesso imponente, vs le vie protette serialmente nelle nostre falesie.

Non sto attribuendo valore a uno o all'altro approccio, eh?
E trovo molto stimolante proprio la lettura critica che del fenomeno dà Benjamin.

Ci sarebbe da meditare...


Mah, come sempre, tot capita tot sententiae.

Per portare un'esperienza soggettiva (ma si può fare altro, in un ambito come questo?), posso dire che il mio "vissuto" (chiedo venia per la parolaccia :oops: :mrgreen: ) è completamente diverso.

Fatte le debite proporzioni (per un pippon come me un quinto poco protetto vale - sul piano dell'esperienza soggettiva, s'intende - come il pesce per Vyger) quando sono al limite con protezione lontana non sento proprio la vicinanza al sublime. Sento strizza, mi chiedo chi cazzeruola me l'ha fatto fare di essere lì, e faccio solenni giuramenti di non mettermi mai più in situazioni simili. Nella migliore delle ipotesi, e in rari casi, posso aver provato un senso di concentrazione fluida (quella che Csickszentmihaly ha concettualizzato come "flow" - tanto per fare il fighetto pedante :P ), ma non lo definirei come qualcosa di "religioso".

Che dire? Sta scritto che "ci sono 84.000 modi per realizzare la via del Buddha". La mia evidentemente non è l'alpinismo; per qualcun altro può esserlo.

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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda PIEDENERO » lun mag 15, 2017 17:33 pm

quoto Callaghan e #giacco
ma aggiungo

se questa è arte

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anche l'alpinismo può tranquillamente esserlo

:mrgreen:
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda VYGER » lun mag 15, 2017 17:33 pm

Ah, quante qazzate...

:twisted:

1. Il giudizio estetico (relativo al bello o al sublime) è immediato; se è mediato da spiegazioni, non vale una cippalippa; a me Picazzo piace a prescindere che sia un qbsta;
2. È un dato di fatto quantitativo che è più mitopoieica l'esperienza di chi arrampica con poche protezioni che quella di chi arrampica con molte;
3. L'esperienza mitopoieica, da che mondo è mondo, è suscitata nell'uomo dall'incontro col trascendente (sia questa esperienza soggettiva od oggettiva);
4. Quindi ribadisco che, anche da un pdv statistico, l'alpinismo e l'arrampicata trad fanno provare alla maggior parte delle persone che la praticano esperienze che la filosofia dell'estetica definisce "sublimi" (cioè relative al rapporto con ciò che supera la misura dell'umano - e infatti Tac parla di esperienza di flusso);
5. Da un pdv meramente statistico, uno che fa una scorreggia cosmica non genera sentimenti sublimi nell'ascoltatore, almeno che l'evento non sia trasfigurato p.e. nella narrazione che di Gargantua fa Rabelais.

Sdudiate!

:roll:
:lol:

Scherzi a parte, continuo a pensare che le similitudini siano molte.
E, come ricordava Jung, dimenticarsi degli dei li trasforma in malattie.
Anche se si è buddhisti.

:roll:

Vabbe'...
Chiudo...
Ho dato il mio contributo al conto alla rovescia in vista del Milione.
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda Callaghan » lun mag 15, 2017 17:58 pm

VYGER ha scritto:4. Quindi ribadisco che, anche da un pdv statistico, l'alpinismo e l'arrampicata trad fanno provare alla maggior parte delle persone che la praticano esperienze che la filosofia dell'estetica definisce "sublimi" (cioè relative al rapporto con ciò che supera la misura dell'umano - e infatti Tac parla di esperienza di flusso);

anche se attraversi bendato la tangenziale ovest di milano alle 11 fa provare alla maggior parte delle persone una esperienza indimenticabile (lo ripeto, l'avevo detto pure al toscano-provenzale Monaco, lui si era risentito, ma poi ...)

VYGER ha scritto:5. Da un pdv meramente statistico, uno che fa una scorreggia cosmica non genera sentimenti sublimi nell'ascoltatore, almeno che l'evento non sia trasfigurato p.e. nella narrazione che di Gargantua fa Rabelais.

filosofo della cippalippa non girare la frittata: parlavi di sentimenti sublimi in chi realizza l'opera, non in chi ne fruisce (nella tua metafora clean-fix).
e poi, il primo fruitore dell'arte è colui che la genera; anzi paradossalmente una volta prodotto, il manufatto artistico è completo così, senza alcun bisogno di esposizione alcuna: non conosci l'adagio "l'arte salva il matto, il matto salva l'arte"?
io studio, ma tu non barare solo per la tua competenza acquisita. ciao e encület

@PIEDENERO: l'opera del manzoni è il classico esempio di arte nella quale il giudizio critico ha uno spazio di azione molto maggiore che non quello estetico; è più facile per una persona che ha molte competenze nel campo dire "mi piace" (e quindi dare un giuzio estetico) della cagata manzoniana, che non un pirla come me che non sa un ca_zzo e fonda il suo giudizio estetico sulla mera assonanza dell'opera nei termini di sensazione. ciao PIEDE
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda #giacco# » lun mag 15, 2017 18:06 pm

Callaghan ha scritto:@PIEDENERO: l'opera del manzoni è il classico esempio di arte nella quale il giudizio critico ha uno spazio di azione molto maggiore che non quello estetico; è più facile per una persona che ha molte competenze nel campo dire "mi piace" (e quindi dare un giuzio estetico) della cagata manzoniana, che non un pirla come me che non sa un ca_zzo e fonda il suo giudizio estetico sulla mera assonanza dell'opera nei termini di sensazione. ciao PIEDE


OT
frase peraltro riferibile, secondo me, anche all'ALTRO manzoni, che trovo più artigiano che artista
fine OT
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » lun mag 15, 2017 18:39 pm

#giacco# ha scritto:
Callaghan ha scritto:@PIEDENERO: l'opera del manzoni è il classico esempio di arte nella quale il giudizio critico ha uno spazio di azione molto maggiore che non quello estetico; è più facile per una persona che ha molte competenze nel campo dire "mi piace" (e quindi dare un giuzio estetico) della cagata manzoniana, che non un pirla come me che non sa un ca_zzo e fonda il suo giudizio estetico sulla mera assonanza dell'opera nei termini di sensazione. ciao PIEDE


OT
frase peraltro riferibile, secondo me, anche all'ALTRO manzoni, che trovo più artigiano che artista
fine OT


Giacomo? :mrgreen:

(Che poi, io non me ne intendo, ma pare che come scultore non fosse proprio malaccio)

Interpretativi saluti
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda VYGER » lun mag 15, 2017 21:14 pm

Callaghan ha scritto:anche se attraversi bendato la tangenziale ovest di milano alle 11 fa provare alla maggior parte delle persone una esperienza indimenticabile (lo ripeto, l'avevo detto pure al toscano-provenzale Monaco, lui si era risentito, ma poi ...)

In effetti ci sono docenti universitari che ritengono sadici o masochisti sotto mentite spoglie coloro che producono opere o ricercano sensazioni affini al sublime.


:roll:

Io non riesco a essere così drastico.

E penso che epoche nelle quali la morte è sperimentata più spesso tendono a forme d'arte che hanno a che fare col sublime (la percezione della limitatezza della nostra vita e di ciò che si percepisce in relazione all'oltre, che - per forza di cose - è confuso, fatto di immagini, sensazioni, proiettivo... Epoche più serene nelle quali la morte è allontanata dal benessere tendono al bello come "percezione di un tutto ordinato".

Il sublime è solo più intenso.
Pirsonalmente di pirsona trovo il bello illuministico abbastanza stucchevole. Ma - come scrive il dott. Tac - de gustibus...

Callaghan ha scritto:filosofo della cippalippa non girare la frittata: parlavi di sentimenti sublimi in chi realizza l'opera, non in chi ne fruisce (nella tua metafora clean-fix).
e poi, il primo fruitore dell'arte è colui che la genera; anzi paradossalmente una volta prodotto, il manufatto artistico è completo così, senza alcun bisogno di esposizione alcuna: non conosci l'adagio "l'arte salva il matto, il matto salva l'arte"?
io studio, ma tu non barare solo per la tua competenza acquisita. ciao e encület


Onorato per l'epiteto.

:mrgreen:

Quasi quasi lo metto nella firma.
Cmq in effetti non avevo risposto.
Mi viene da citare ampi stralci di uno studio di Bateson, "Stile, grazia e informazione nell'arte primitiva", che secondo me è illuminante sull'argomento, sempre se si pazienta sull'ostico testo batesoniano.

Ecco:

“Aldous Huxley era solito dire che il problema fondamentale dell'umanità è la ricerca della "grazia”. Egli usava questa parola nel senso in cui pensava fosse usata nel Nuovo Testamento; tuttavia la spiegava in termini suoi. Egli sosteneva (,come Walt Whitman,) che gli animali si comportano e comunicano con una naturalezza, una semplicità che l'uomo ha perduto. Il comportamento dell'uomo è corrotto dall'inganno - perfino contro se stesso - dalla finalità e dall'autocoscienza. Secondo l'opinione di Aldous, l'uomo ha perso la ‘grazia’ che gli animali ancora possiedono.
Nei termini di questo contrasto, Aldous sosteneva che Dio somiglia agli animali più che all'uomo: Egli è idealmente incapace di inganni e incapace di confusioni interne.
Nella scala complessiva degli esseri, quindi, l'uomo è come situato da parte, ed è privo di quella grazia che gli animali possiedono e che Dio possiede.
Io sostengo che l'arte è un aspetto della ricerca della grazia da parte dell'uomo: la sua estasi a volte, quando in parte riesce; la sua rabbia e agonia, quando a volte fallisce.
Sostengo anche che vi sono molte specie di grazia; e anche che vi sono molti tipi di errore e di frustrazione e di allontanamento dalla grazia. Senza dubbio ogni cultura ha la sua specie caratteristica di grazia, cui gli artisti tendono, e la sua particolare specie di insuccesso.
Alcune culture forse incoraggiano un'impostazione negativa di questo difficile problema d'integrazione, eludendone la complessità mediante una grossolana preferenza o per una totale presa di coscienza o per una totale incoscienza. E’ improbabile che la loro arte sia 'grande’.
Sosterrò la tesi che il problema della grazia è fondamentalmente un problema d'integrazione, e che ciò che si deve integrare sono le diverse parti della mente - specialmente quei molteplici livelli di cui un estremo è detto “coscienza” e l'altro “inconscio”. Perché‚ si possa conseguire la grazia, le ragioni del cuore debbono essere integrate con le ragioni della ragione.


In linea con le idee di Bateson, continuo a pensare che anche chi apre vie, se non si autoinganna e riesce nel processo di creare "grazia", può trovare molto "tormento" e frammenti di "estasi". E, quando questo accade, è percepito anche dal ripetitore, che ricrea la via.

Tieni conto che, come il vecchio Gregory, ho una concezione piuttosto ampia di arte, in cui la dimenticanza di sé ha un valore fondamentale, non in termini etici, ma in termini di riuscita del processo di integrazione tra conscio e inconscio (e quindi di rinforzo emotivo della riuscita del processo). Chi ci riesce, a suo modo, per pochi istanti, trascende la propria limitatezza. Invece chi inganna (gli altri), inganna (gli altri e sé stesso). Quindi niente estasi. Continuo a pensare che, in arrampicata, un uso parco delle protezioni in questo giochi un ruolo importante e credo che questo non sia dovuto a un superomismo più o meno accentuato, ma proprio a un fattore di dimenticanza di quell'ingombrante ego che molto spesso ci guasta la vita.

Poi, vabbe'...
Sono anche tendenzialmente democratico. E credo che in giro per il mondo ci siano molte vie capolavoro sconosciute, o note solo agli autori, così come in posti infernali ci sono fiori delicati e bellissimi contemplati solo da rocce e formiche.

:roll:

Ma non importa.
Non "si" crea mica per essere riconosciuti, come noti tu.
"Si" crea e basta.

Non so che cosa dirti.
Penso che il bambino che ha disegnato questo paesaggio invernale (Patrimonio Fondazione PINAC) abbia provato un bel po' di tormento, ma anche un pochino di estasi, anche se era solo un bambino. E, se ci è riuscito, ci è riuscito perché si è dimenticato di sé.

Oh, non riesco a linkarla, eh?

Ok, basta.
O non vi passa più.

Oste, una birra...

:mrgreen:

Ah, ciao Callaghan. E encület a po'a te...

:D
Ultima modifica di VYGER il lun mag 15, 2017 23:37 pm, modificato 2 volte in totale.
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda tacchinosfavillantdgloria » lun mag 15, 2017 21:36 pm

Ok allora.

Una citazione che potrebbe piacere a Vyger:

"Tous les mouvements naturels de l'âme sont régis par des lois analogues à celles de la pesanteur matérielle. La grâce seule fait exception. Deux forces règnent sur l'univers : lumière et pesanteur."

Appesantiti saluti
TSdG

PS un affettuoso encület a te, all'ispettore e già che ci sono anche a Giacco :mrgreen:

Ecumenici ri-saluti
T.
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda scairanner » lun mag 15, 2017 22:19 pm

PIEDENERO ha scritto:quoto Callaghan e #giacco
ma aggiungo

se questa è arte

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anche l'alpinismo può tranquillamente esserlo

:mrgreen:



"come quella volta che alla Biennale di Venezia un visitatore si è divertito a mettere in posa un sacchetto pieno di spazzatura per godersi lo spettacolo di acritici spettatori che si fermavano a osservarlo con aria seria e contemplativa."

Dal libro "Attacco all'arte. La bellezza negata. "
Di Simona Maggiorelli

Tra la fine del Novecento e il primo quindicennio degli anni Duemila l’arte contemporanea sembra aver vissuto una lunga notte piena di incubi orrorifici, quanto improbabili, popolati di squali in formaldeide (firmati Damien Hirst), bambole gonfiabili (Jeff Koons), cloache meccaniche (Wim Delvoye), autoritratti scolpiti nel proprio sangue congelato (Marc Quinn) e via di questo passo. Si è dispiegato cosi un universo visivo di figure grottesche, di funeree nature morte, di trovate goliardiche e raccapriccianti.

Nel frattempo l’estetica si innamorava dei cyborg e del ‘post-umano’ sostenendo le azioni sceniche masochistiche di personaggi come Stelarc, che si esibiva nudo agganciato a supporti con decine di uncini conficcati nella pelle. La carne, la morte e il diavolo. Torna la vecchia triade romantica studiata da Mario Praz con una variante: al posto del demonio compare un automa; analogo alle modelle anoressiche che Vanessa Beecroft rende indistinguibili dai manichini. Negli anni Novanta sono salite alla ribalta internazionale insieme ai mutanti di Matthew Barney e ai giganteschi manga di Takashi Murakami, prodotti in serie, con un sistema di fabbricazione che va ben oltre quello della Factory di Andy Warhol, che al confronto pare artigianale.

Nell’era della riproducibilità tecnica sembra essere sparita l’opera d’arte. Ne resta solo una vacua aura. A prevalere è una produzione di installazioni, video, performance a effetto choc o che all’opposto (e in modo complementare, come se fossero le due facce di una stessa medaglia) cercano l’anestesia più totale con opere iper-concettuali, che celebrano il vuoto. L’astrattismo si è fatto assoluto in molta Digital art computerizzata, regno di una razionalità arida e spirituale che annulla completamente corpo. Portando all’estremo il minimalismo geometrico e i giochi ottici, ipnotici, della Op art e della psichedelia anni Settanta, sembra voler imporre una nuova forma di iconoclastia.

Nella cosiddetta società delle immagini, della pubblicità, della fotografia, degli avatar e della realtà virtuale, pare non esserci più spazio se non per figurazioni svuotate di senso, e una desertificata astrazione. Cosi piace al ristretto e facoltoso pubblico che frequenta le aste a Londra, a New York, in Svizzera. Il valore economico delle mucche squartate e conservate da Hirst in teche simil-acquario è da capogiro. Non importa se fra dieci anni saranno poltiglia. Per gli artifici della finanziarizzazione dell’arte contemporanea, per i tycoon ultramiliardari che le acquistano, conta la spettacolarizzazione, il gigantismo, la dismisura, in spregio alla crisi. Non importa se l’effetto è palesemente kitsch. Il fatto che opere di questo tipo siano diventate uno status symbol per pochi (chi, anche volendo, potrebbe tenerle in salotto?) ha fatto strage di ogni altro significato. Ai galleristi non importa se tutto ciò abbia provocato un impoverimento culturale della proposta, gli interessa che l’opera abbia le caratteristiche per essere vendibile all’upper class. Il pubblico che frequenta le biennali, le gallerie e i musei del contemporaneo, del resto, non se ne lamenta. Anzi. Sembra sentirsi parte di una élite, di un circolo esclusivo, di una «statusfera», direbbe Tom Wolfe.

«L’arte contemporanea è un surrogato della religione, che si celebra in ghetti patinati», scrive la storica dell’arte Sarah Thornton ne Il giro del mondo dell’arte in sette giorni, (2009). Una religione dogmatica, aggiungerei, che non ammette critiche. Ed è questo forse l’aspetto più bizzarro dell’attuale Art world. In fondo, che l’estetica dominante sia imposta da una manciata di collezionisti miliardari, magnati della moda come François Pinault, galleristi come Larry Gagosian ed ex pubblicitari come Charles Saatchi, potrebbe anche interessarci relativamente, se ci fossero spazi pubblici di dibattito critico e per un vivace confronto fra proposte artistiche differenti. Ma chi fa ricerca oggi perlopiù resta fuori dai riflettori. E se non ha risorse economiche proprie, rischia di far la fame, specialmente in Italia dove non ci sono ancora strutture pubbliche come il British Council (nonostante gli annunci del ministro Dario Franceschini nel 2016). Tuttavia non si alzano cori di proteste. E se qualche voce, pur autorevole, prova a sollevare obiezioni sensate, viene subito additata come passatista e conservatrice, notava Angelo Crespi in Ars attack. Il bluff del contemporaneo (2014). È successo anche ad un intellettuale e critico d’arte come l’ex direttore del Musée Picasso Jean Clair quando ha pubblicato il pamphlet L’inverno della cultura (2011) e saggi come De immundo (2005), in cui denuncia il cinismo e la perdita di senso della produzione artistica che oggi cerca di scandalizzare scegliendo l’informe, utilizzando scarti biologici e altri rifiuti, cadaveri, deiezioni e gli aspetti più prosaici della quotidianità, oppure realizzando opere altrettanto poco sopportabili perché legate a una fascinazione per la teratologia, per le deformazioni biologiche e patologiche.

Analoga sorte è toccata al Nobel Mario Vargas Llosa, quando si è permesso di prendere in giro l’ossequio verso l’arte iper-concettuale che appare oggi generalizzato. Ha commesso questo ‘peccato’ nel 2016, scrivendo sul quotidiano spagnolo “El País” dell’esperienza che ha fatto durante una giornata libera a Londra. «Per dimenticare la Brexit», dice di aver deciso di andare a vedere il nuovo edificio della Tate Modern: «Come mi aspettavo, ci ho trovato l’apoteosi della civiltà dello spettacolo», tanto da voler rinunciare. Poi però, vedendo tanti giovani e turisti, si è messo in scia per cercare di capire i motivi del loro entusiasmo. Al primo piano del museo è stato colpito dallo zelo con cui una insegnante cercava di convincere la scolaresca che quel manico cilindrico, probabilmente di scopa, esposto con cura, era di fatto una scultura «a cui l’artista aveva tolto le setole di saggina o di nylon che l’avevano resa funzionale, come oggetto quotidiano per le faccende domestiche». Che fosse una scultura era evidente perché intorno al manico una corda formava un rettangolo che impediva agli spettatori di avvicinarvisi troppo e di toccarlo. La tentazione, confessa Vargas Llosa nel suo report, sarebbe stata dirle che ciò che stava facendo «con dedizione, ingenuità e innocenza, non era altro che contribuire a un imbroglio monumentale, a una sottilissima congiura poco meno che planetaria su cui gallerie, musei, illustrissimi critici, riviste specializzate, collezionisti, professori, mecenati e mercanti sfacciati si sono messi d’accordo per ingannarsi, ingannare mezzo mondo e, di passaggio, permettere che pochi si riempissero le tasche grazie a una simile impostura».

Benché negli anni Ottanta abbia tenuto a battesimo la Transavanguardia, lo stesso Achille Bonito Oliva ha denunciato l’effetto omologante della globalizzazione sull’arte. Visitando il MoMA, il Guggenheim di New York, il Centre Pompidou nel cuore di Parigi o la Tate Gallery vicina alla City di Londra, sarà capitato a molti di notare che le rispettive collezioni si assomigliano in modo impressionante, tanto da avere la sensazione di un continuo déjà-vu. In alleanza con il Modern Art Museum e con il PS1, questi templi del contemporaneo formano una specie di cartello di aziende, come fossero le sette sorelle dell’arte contemporanea. Così le ha ribattezzate ABO, segnalando la rete di alleanze e fusioni tipiche dei grandi gruppi finanziari multinazionali che regolano i loro rapporti, fin quasi a formare un’unica holding museografica.

«L’arte è diventata un grande condominio in cui il museo è il proprietario, i curatori sono i ragionieri e il pubblico un veloce ospite-voyeur», scriveva il critico napoletano già nel 1999. La finanziarizzazione dell’arte, nell’era della globalizzazione, ha imposto su scala internazionale una sorta di pensiero unico: un’estetica prevalentemente anglo-americana, che lascia poco o nessuno spazio alla ricerca sulle immagini con un senso e un contenuto profondo, che non siano fantasticheria, vuota figurazione o arido concettualismo. Il discorso sull’arte prevale sulle immagini, l’arte è diventata meta-arte, sur-arte. Al punto che la maggior parte di ciò che viene esposto risulta incomprensibile senza un debito apparato di spiegazioni.

Come siamo arrivati a questa supremazia del linguaggio razionale su quello muto e irrazionale delle immagini? Perché a poco più di un secolo di distanza dalle avanguardie storiche, che avevano mandato in soffitta un’idea di pittura come mimesis della realtà, siamo circondati da opere che della realtà propongono il calco più triviale?

Al Museion di Bolzano, nell’ottobre 2015, dopo una festa, gli addetti alle pulizie hanno gettato via per sbaglio un’opera di Goldschmied & Chiari intitolata Dove andiamo a ballare stasera?: pensavano che fossero i resti del banchetto. Scherzi da buontemponi, si dirà, come quella volta che alla Biennale di Venezia un visitatore si è divertito a mettere in posa un sacchetto pieno di spazzatura per godersi lo spettacolo di acritici spettatori che si fermavano a osservarlo con aria seria e contemplativa. Iper-realismo incellophanato, vacuo estetismo, provocazione fine a stessa compongono la trama invisibile che percorre tante Biennali anni Novanta e Duemila, da Venezia a Istanbul, passando per una fiera di tendenza come Frieze London, per la mostra mercato di Basilea e la prestigiosa dOCUMENTA di Kassel. Non credendo a Hegel e alla sua profezia sulla morte dell’arte, torna la domanda: cosa è accaduto? Come si è arrivati fin qui?


Credo che anche molte opere del passato vengano spacciate per arte quando si tratta in realtà di artigianato: penso a quelle gallerie dove trovi centinaia di noiosissimi ritratti tutti uguali, un pò come le canzonette di oggi (e di ieri), prodotti in serie senza alcuna verve artistica; bravi artigiani, non artisti.
Tornando in topic, senza troppi giri di parole e senza scomodare filosofi e autori vari, mi chiedo come possa essere considerata arte una salita che può essere concepita e realizzata da chiunque (un esempio banale: il diedro Cozzolino se non lo saliva lui lo saliva qualcun altro, poche storie, è solo una questione di preparazione atletica, non di ispirazione artistica), mentre un'opera d'arte nasce e si concretizza solo nella testa dell'autore (le Variazioni Goldberg, dato che sono state tirare in ballo) se non le componeva Bach non le avremmo mai sentite, credo che su questo ci sia poco da obiettare.

E quindi, cari apritori, inutile che conserviate la vostra merda, nessuno la riconoscerà come prodotto d'artista (magari provate a venderla a Vyger e funk chissà che non facciate la crana :lol: ) :mrgreen:
-Come sarà la scalata di Adam Ondra nel 2030?
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda VYGER » lun mag 15, 2017 23:22 pm

scairanner ha scritto:E quindi, cari apritori, inutile che conserviate la vostra merda, nessuno la riconoscerà come prodotto d'artista (magari provate a venderla a Vyger e funk chissà che non facciate la crana :lol: ) :mrgreen:


Ma io non ne ho, di crana...

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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda VYGER » lun mag 15, 2017 23:48 pm

tacchinosfavillantdgloria ha scritto:Ok allora.

Una citazione che potrebbe piacere a Vyger:

"Tous les mouvements naturels de l'âme sont régis par des lois analogues à celles de la pesanteur matérielle. La grâce seule fait exception. Deux forces règnent sur l'univers : lumière et pesanteur."

Appesantiti saluti
TSdG

PS un affettuoso encület a te, all'ispettore e già che ci sono anche a Giacco :mrgreen:

Ecumenici ri-saluti
T.


Purtroppo non conosco abbastanza Simone Weil. Devo studiare anch'io.

:oops:
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Re: L'Alpinismo come manifestazione artistica

Messaggioda funkazzista » mar mag 16, 2017 8:59 am

scairanner ha scritto:... mi chiedo come possa essere considerata arte una salita che può essere concepita e realizzata da chiunque (un esempio banale: il diedro Cozzolino se non lo saliva lui lo saliva qualcun altro, poche storie, è solo una questione di preparazione atletica, non di ispirazione artistica), mentre un'opera d'arte nasce e si concretizza solo nella testa dell'autore (le Variazioni Goldberg, dato che sono state tirare in ballo) se non le componeva Bach non le avremmo mai sentite, credo che su questo ci sia poco da obiettare.

Mah, premesso che, come dice l'Ispettore, si tratta di un "argomento manieristicamente onanistico" (ma allora i fori che ci stanno a ffà?!?) e che, dal basso della mia cultura, non ho la minima idea di cosa sia l'arte, mi sembra comunque che ci siano delle analogie (azzardate finché si vuole) tra la creazione di una via e la creazione di un'opera d'arte.
Si, il diedro Cozzolino prima o poi l'avrebbe salito qualcun altro (e comunque, scai, come esempio potevi anche scegliere una linea un filino meno evidente :lol:), ma sarebbe stata la stessa cosa?
Non avrebbe forse comunque avuto l'impronta -unica- dell'apritore?
Il merito dell'apritore non è anche quello di saper "vedere" una via dove gli altri non la vedono?
Le Variazioni Goldberg o Frà Martino Campanaro :lol: non esisterebbero senza il loro autore?
Mah... non ne sono così sicuro... forse non così come le conosciamo...
Fatica, tecnica, lavoro, ecc. entrano in gioco anche nella creazione di un'opera d'arte: non penso che Giovanni Sebastiano si sia alzato una mattina e abbia scritto le Variazioni Goldberg in qualche minuto, come io scrivo 'ste cazzate sul foro... o no?
Quindi non so se l'alpinismo sia arte o artigianato o vattelapesca, però mi sembra che la creazione di una via racchiuda qualcosa di artistico.

VYGER ha scritto:
scairanner ha scritto:E quindi, cari apritori, inutile che conserviate la vostra merda, nessuno la riconoscerà come prodotto d'artista (magari provate a venderla a Vyger e funk chissà che non facciate la crana :lol: ) :mrgreen:


Ma io non ne ho, di crana...

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