Il comune fa due conti e salva la miniera
il Corriere delle Alpi ? 30 ottobre 2008 pagina 24 sezione: PROVINCIA
VAS. Per la Provincia è una semplice miniera di sali magnesiaci che deve essere chiusa, per il comune di Vas è una piccola miniera d?oro che - nolenti o volenti - crea un certo giro e, soprattutto, porta benefici alle casse comunali. Per questo, l?amministrazione Biasiotto si dissocia dalla richiesta di palazzo Piloni rivolta a Venezia, quella cioè di congelare il sito: «L?attività estrattiva non può essere messa in discussione», afferma il sindaco Andrea Biasiotto. Nonostante la caduta massi, il comune conferma la linea, la stessa che lo ha visto contrapposto all?esecutivo Reolon (e non solo) in più di un?occasione. La miniera di Scalon - questa la filosofia - continua a essere una risorsa per il territorio. Per non parlare della sua posizione che, a sentire lo stesso primo cittadino, è la meno impattante possibile. Peggio sarebbe la valle di Schievenin o il col di Roro ad Alano, dove la protesta ambientalista ha raggiunto livelli quasi inimmaginabili in provincia. «Scalon è un posto nascosto. Non è quel brutto biglietto da visita che qualcuno dice», dice il sindaco. Ciò nonostante, anche per Biasiotto la questione sicurezza resta al primo posto: «L?azienda deve rispettare i parametri, ma un conto è rivedere il piano, un altro chiudere il sito». Anche perchè - e il sindaco lo sottolinea dubito dopo - c?è un capitolo da non sottovalutare ed è quello economico. «Il comune di Vas percepisce 65 centesimi di euro per ogni metro cubo scavato». In tempi di vacche magre sono soldi che fanno comodo. Il sindaco non vuole polemiche: «La posizione della Provincia è nota da tempo, così come la nostra. Non è la prima volta che abbiamo diverse opinioni in materia. Ricordo soltanto che è la Regione a decidere. A quel punto, ognuno farà il suo ruolo». La saga di Scalon inizia nel 1997 quando il distretto minerario di Padova concede alla ditta Telve Rigo di Camposampiero una concessione di vent?anni per un volume estraibile di tre milioni e 500 mila metri cubi di materiale su una superficie di quasi 64 ettari. I lavori si iniziano nel 2001, ma è nel 2003 che si registrano le prime preoccupanti cadute massi. In quell?occasione l?ente chiede alla ditta di predisporre un piano per la sicurezza, adottato nell?estate del 2007. L?ultimo richiamo da Belluno arriva nel giugno di quest?anno. Manca una relazione sulla stabilità dei versanti in coltivazione. Sulla questione il settore ambiente della Provincia ha predisposto anche uno studio dove si leggono le ragioni che hanno portato alla caduta dei due macigni sulla provinciale 1 bis della Madonna del Piave un mese fa. Episodio definito ?gravissimo?: «Durante la rimozione con escavatore di una porzione del blocco appena tagliata la base di appoggio in roccia si è spezzata provocando il basculamento del blocco posizionato sul ciglio che ha cominciato la sua corsa verso la sottostante sede stradale. Solo condizioni fortuite hanno impedito a due ulteriori massi di precipitare e che nessun autoveicolo fosse coinvolto».