da VECCHIO » dom mag 28, 2017 21:33 pm
Qualcosa mi ricordavo, nulla della salita, ma quando per caso ho aperto la rivista ammuffita dove era stato pubblicato questo racconto, ho riso moltissimo di me, per come ero giovane, pirlotto e tutto ciò che deciderete voi.
Non posso fare copia e incolla perché non esistevano i personal computer, quindi lo copio, anche se ora capisco i quattro che mi davano in italiano.
Mi sto divertendo moltissimo a scrivere e spero di riuscire a continuare a divertirmi.
Il Filippo Flemmatico
Quest'estate non avevo più voglia di arrampicare: forse per i sassi, o per la troppa acqua, o il ghiaccio, o meglio per non essere stato capace di adattarmi ad un obbligatorio cambiamento delle scelte.
"Dai vieni, viene anche Graziano". E così alle quattro di mattina partiamo da Bergamo. Durante il viaggio ho freddo alla schiena, mi copro col gilet di Graziano e ho molto sonno. Poi il Pelmo. La prima volta che lo vedo: un enorme ammasso solitario di roccia. Salendo al Coldai discutiamo allegramente per decidere chi farà la seconda parte della via e chi la prima o la terza. "L'Azzu-decidiamo noi due, i vecchi- è forte, fortissimo, noi abbiamo l'esperienza, lui deve farsela, quindi noi non abbiamo bisogno di fare da primi sul tratto duro e perciò a lui il secondo". Io ho le scarpe rigide, quindi il terzo, perché magari c'è neve o ghiaccio. Troviamo il Carletto che ha dormito fuori dal rifugio dopo aver fatto l'Aste alla Punta: "dura, 6 classico senza passaggi orribili, comodi recuperi e se si vuole bivaccare ottimi posti". Vuol dire che il coltello fra i denti, il paracadute e la colla non sono sufficienti per farla. E verso mezzogiorno ci avviamo. Dopo cento metri una bevuta, uno sguardo appassionato ai sub nel laghetto e ai bikini, ma tanto siamo qui per il Filippo, viveri ne abbiamo, materiale per bivaccare pure, la voglia gira fra tutti e tre a turno e poi chi l'ha mai visto da vicino! Su e giù per un pò... Ed ecco la parete. "Bestia! È piccola e non fa paura..." Ma è troppo alta e larga per rendersi conto. Sì, c'è del giallo, ma anche del grigio e poi in parete non c'è nessuno e quindi niente proporzioni. Dopo il pranzo su un sasso, stando in contemplazione del "sito", risaliamo il ghiaione. "Undici moschettoni americani". Io sulla neve dura e gli altri con le scarpette sulla rampa sinistra. Cordini rotti, un pezzo di Rollei, pelle e sangue. Dobbiamo essere in zona di battaglia, quasi in prima linea... però i bombardamenti sono alle spalle, quindi i nemici non sono davanti. Eppoi quando siamo in tre allegri e spensierati (c'è solo da arrampicare) non è che si pongano molti problemi. Dopo un po' ci leghiamo e verso le due del pomeriggio, al sole, Graziano mette in funzione la molla. "Giuramento! So sèmper ciapat!" con le mani e le braccia che tirano. Chiodi pochi, direi solo ai recuperi. Acqua niente, neanche per le cannucce. Uno zaino e un sacco da bivacco lontano, sotto delle corde penzolanti: "la via degli amici?". Continuiamo a salire senza fretta, perché il primo posto da bivacco deve essere entro i primi quindici tiri. Verso le sei Graziano attacca la parte dura per vedere, ma poi decidiamo di scendere a bivaccare sotto.
"Pim, pum, pam ", un'ora per creare un terrazzo con un po' di sabbia e terra e poi in un groviglio di corde e materiale ci sistemiamo comodamente sdraiati per mangiare e passare la notte. Dormo al caldo anche due ora di fila. La luna è un po' troppo luminosa, ma la facciamo spegnere con una nuvola. La sete, ecco solo la sete dà fastidio. Alle sette decidiamo di alzarci e vediamo della gente che attacca il diedro. Sapremo a casa che non attaccavano, cercavano due tedeschi caduti il giorno prima. Azzù sale fino alle corde lasciate il giorno prima e poi noi; lui è senza zaino e noi con uno zaino e mezzo. Che faticaccia! E ancora per dieci tiri su traversi, strapiombi... e tutte le rogne che si incontrano sempre sulle vie difficili, però su questa tutto è più condensato e continuo: "non molla mai". Vediamo anche i buchi dei chiodi a pressione, ma troviamo pochi chiodi, solo i segni. Dobbiamo proprio essere allegri per non piantarne mai tranne che ai recuperi. E poi sull'aggiramento a sei chiodi del tetto Azzu ne trova quattro... e passa, ed anche noi, ma per un metro a destra ci attacchiamo alle corde. E dopo questo una traversata di quaranta metri sopra uno strapiombo, non difficile, ma quell'accidente non mette chiodi. Ce n'era uno solo, ma non l'ha visto. Un elicottero del soccorso alpino ci rattrista. Ma riempiamo le borracce d'acqua buona e "plachiamo la nostra arsura". Questo rientra nell'idea che "o lei, o noi", l'urlo di guerra che ci fa sempre crepare dal ridere per un certo alpinismo che sottintende. È il mio turno. Un po' di neve nel caminone ed una lavata sotto una cascatella, un tetto enorme, spaccato, in mezzo al quale si cammina, un buco, una placca e tre chiodi: appena si trovano i chiodi subito succede qualcosa.
Ero salito così bene fin qui e adesso che mi assicuro con un chiodo intermedio non vengono più le corde. Tira e tira, butto via quasi un'ora. Facciamo il trentasettesimo tiro, ne mancano quattro ed è il tramonto di un giorno di fine settembre un po' nuvoloso con luci e colori bellissimi... ci fermiamo per dormire felici. Di pancetta ve ne è ancora, anche i biscotti e il cioccolato; per finire sgranocchio una favolosa crosta di grana. Unico inconveniente sono le unghie delle mani che mi fanno un male cane. "Sveglia, dai che è ora di svegliarsi, dormiglione!" È Graziano che ha costruito in un buco una specie di tenda e si è isolato talmente bene che nemmeno ci sente. È proprio una grande parete: sono quarantadue ore che la viviamo senza riuscire a comprenderla, tanto è grande. Anche il nostro diedro è enorme, pieno di grotte, buchi e camini, con grandi tetti e terrazzi e colori di tutte le specie; possiamo andare di qua e di là a lungo, ma non possiamo uscire se non da sopra, ormai già da ventidue lunghezze di corda abbiamo perso la possibilità di scendere. Siamo come tre formiche sul "Sentierone". Dopo esserci "alleggeriti" ripartiamo, perché dobbiamo concludere il diedro per poterlo capire; purtroppo non possiamo lasciarci ammaliare dal suo fascino, anche se ormai ne siamo innamorati e potremmo continuare a scalarlo fino a diventare vecchi. Incontriamo i dieci metri in artificiale, un po' di vetrato e la cresta di neve alla fine. Alle nove rivediamo il sole. Un tedesco ci vuole fotografare con i caschi, ma noi siamo talmente seri... che non riusciamo a stare in piedi dalle risa per quell'improvviso ritorno alla civiltà dello "o noi, o lei". Ancora il Pelmo che affiora dalle nubi e la discesa dalla ferrata degli Alleghesi. Il Coldai dove scriviamo di essere di ritorno dal "Filippo Flemmatico" e la macchina. Alla sera a casa.
"Quasi due giorni in parete (impresa?!?!?) con una ventina di ore di sonno e altrettante di arrampicata, le rimanenti, per fare quarantacinque, dedicate al mangiare e a fare gli spaccapietre. Vogliamo "metter su" una impresa di "disgaggi". Ciao
....ALPINISTA......NO GUIDA....... questa mi scombussola
Scalare con gli esperti del cai... son sempre dei grossi guai...... questa mi piace