Enzolino ha scritto:senza offesa, ma a volte ho l'impressione che tu (e qualcun altro) sia affetto dal Piemontismo acuto, un morbo abbagliante che colpisce alcuni alpinisti piemontesi, impedendogli di vedere con una certa obiettivita' l'alpinismo che ha coinvolto la propria regione ed i suoi protagonisti.
Morbo interessante - quando difendiamo a spada tratta quello che nasce in Piemonte ne siamo affetti, quanto attacchiamo senza vergongna quanto nasce in Piemonte ne siamo affetti, quando invece cerchiamo di esaminare ragionevolmente quello che nasce in Piemonte.... ne siamo affetti.
Insomma, non riusciamo mai a togliercelo di dosso, 'sto morbo!
Motti, a mio avviso, ha elaborato un'eccellente ed intelligente analisi della storia dell'alpinismo utilizzando chiavi di lettura originali ed inevitabilmente legate alla sua storia personale. Non ho il libro con me, ma le sue interpretazioni, per quanto mi ricordo, erano molto ragionevoli e sensate e non mi pare riflettessero quello che hai detto.
"Eccellente" ed "Intelligente" di sicuro, perchè di eccellenza ed intelligenza Motti ne aveva da vendere. "Originale" e "legato alla sua storia personale" anche, e penso proprio che Motti avrebbe convenuto, o almeno sarebbe stato contento di leggerti. Ma "ragionevole" e "sensato", beh, penso che che proprio questo non gli sarebe andato giù. Motti voleva essere, scrivendo la sua storia dell'Alpinismo, "irragionevole" al massimo. La sua era una visione estremamente socggettiva e lontana al massimo da qualsiasi rigore accademico. Era la "storia del mondo della montagna filtrata da Giampiero Motti", e nulla più. Non è colpa di Motti se poi qualcuno l'ha presa come un documento rigoroso.
Forse la tua e' una distorsione dovuta al fatto che l'hai conosciuto e non sei in grado di leggere il suo scritto in maniera distaccata.
Non direi proprio. L'ho visto di persona forse tre volte, e abbiamo scambiato due parole in croce. All'epoca avevo frequentazioni diverse, anche se in qualche modo "incrociate", anche perché io ero giovanissimo, e passavo metà dell'anno a Courmayeur.
Nessuno, poi, ha mai detto che la Storia dell'alpinismo di Motti sia un documento storico. La sua e' un'analisi, e l'analisi usa i documenti storici (lettere, relazioni, chiodi, articoli di giornale, libri, ecc) come piattaforma su cui elaborare interpretazioni legate al proprio modo di vedere le cose, e quindi all'"io".
E questo accade necessariamente quando entra in gioco qualsiasi interpretazione. Quindi ogni interpretazione, sotto un certo aspetto, e' una proiezione dell'io, e la tua affermazione su Motti, dovrebbe riguardare qualsiasi "storico".
Il termine giusto sarebbe stato "analisi storica", "manuale storico", insomma, scegli tu.
Non è vero comunque che non si possa fare della storia (soprattutto alpinistica) senza essere almeno ragionevolmente lucidi. Sono figlio di uno storico (di architettura) e ritengo che mio padre quando scrive si basi sui documenti più che sulle sue sensazioni personali. "Everest" di Walt Unsworth è un libro rigoroso ed un modello di storia alpinistica, per quanto inevitabilmente condizionato da tante cose (come per esempio la visione "britannocentrica" dell'autore)
In base a questo ragionamento, quello che hai scritto non dice nulla di nuovo, ma fa credere che la sua Storia dell'Alpinismo sia una sorta di autobiografia di Motti proiettata su fatti storici alpinistici.
E questo modo di vedere mi pare assolutamente ingiusto nei confronti di Motti.
Ma la "Storia dell'Alpinismo" di Motti E' un'autobiografia proiettata su fatti storici ed alpinistici - e dubito fortemente che Giampiero sarebbe stato offeso da un tale ragionamento - perchè, come ho detto, lui non voleva creare un testo rigoroso, ma creare un testo provocaiorio, personale (e sicuramente ci è riuscito!). Il problema sono stati i suoi epicgoni - ma, come ho detto prima, Motti si è inserito in un deserto, a parte il libro di Claire Eliane-Engels prima di lui non c'era niente....