l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Arrampicata e alpinismo su roccia in montagna

Messaggioda danielegr » mer dic 01, 2010 12:18 pm

Dovrei raccontare ancora, per terminare la settimana con Enrico, della salita al Mulo, per la via Mazzorana, fatta il 4 Settembre. Oggi però non ne ho voglia, ne riparleremo in futuro. Piuttosto, visto che l'argomento è già stato trattato in altri post in questi giorni proverò a ricordare una gita scialpinistica fatta con Alfredo direi intorno al 1957. Caso unico e non più ripetuto, abbiamo sfruttato la macchina dei miei, anziché la solita Vespa. Una bella mattina di Marzo ci hanno offerto un passaggio per andare nella Bergamasca: loro si sarebbero fermati a Carona e noi saremmo andati per gli affari nostri. Peccato che sia una giornata con cielo coperto: non riusciremo ad andare lontano. Pazienza, se il tempo sarà brutto ci limiteremo a un paio di sciate da qualche parte. Però salendo in quota, miracolo!!, pensiamo noi, buchiamo lo strato di nuvole e ci troviamo a Carona (per i non lombardi: è un paesino delle alte Valli Bergamasche, poco oltre Branzi, dalle parti di Foppolo) con un sole splendido. Lo so che in primavera è un fenomeno abbastanza comune trovare brutto tempo in pianura e sole in quota, però allora non lo sapevo e la cosa mi era quasi sembrata un prodigio.
Comunque, arrivati a Carona, ci mettiamo in spalla i nostri sci (i miei di circa 210 centimetri, Alfredo più lunghi, almeno 220) e partiamo alla volta del Rifugio Fratelli Calvi. L'obiettivo era il Passo Portula. Tutto normale, tutto va bene fino a che non arriva il momento nel quale si capisce che è meglio non tenere più gli sci in spalla ma attaccare le pelli di foca e andare con gli sci ai piedi. Solo a questo punto Alfredo si accorge di aver dimenticato a casa le pelli di foca. Cosa facciamo? Tornare indietro? Ma per carità!! dopo la fatica fatta per arrivare fino a lì non è possibile abbandonare, soprattutto vista la bellissima giornata. Alfredo, stoicamente, decide: ?Questo sarà tutto lisca di pesce per me!!?. E così si parte: io con minor fatica, Alfredo che ogni tanto elenca in rigoroso ordine alfabetico tutti i santi del Paradiso...
Arriviamo al passo e il sottoscritto incomincia a avere delle strane sensazioni. Strane mica tanto, poi, sono inequivocabili: ho bisogno di un cesso. Peccato che il più vicino sia ad almeno due ore di marcia. Ma che problema c'è? Tanto spazio intorno, qualche albero, nessuno in vista nel raggio di almeno un chilometro e ti formalizzi per così poco? Forza Daniele, togli gli sci, abbassa i calzoni e? sì, ma ti sei ricordato di mettere nello zaino un po' di carta igienica? o almeno dell'altra carta che possa andare bene per la bisogna? No, naturalmente: foglie in giro non ce ne sono, carta non ne ho... come fare? Come sarebbe a dire ?come fare?? con tanta neve intorno ti crei dei problemi? Beh, usare la neve per pulirsi il deretano non è niente male: funziona, lascia una gradevole sensazione di freschezza e poi, se non c'è altro... Peccato solo che gratti un po'.
Lo ammetto, di alpinistico, o di scialpinistico, qui c'è poco, ma di scatologico sì!! E poi non ho mica incominciato io...
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Messaggioda danielegr » lun dic 13, 2010 13:46 pm

Una volta tanto non racconterò una salita, ma una rinuncia: sempre con Enrico decidiamo di tentare una via più difficile: non molto lunga ma con passaggi di sesto sulla Cima Grande di Lavaredo. Non ricordo il nome della via: era comunque sulla parete Sud e per arrivare all'attacco era necessario risalire il faticosissimo ghiaione che parte poco oltre il rifugio Auronzo. Gambe in spalla e partiamo: non abbiamo, se ricordo bene, una descrizione della via, il custode del Rifugio però ci aveva spiegato le cose principali per la salita. Il tempo non è dei migliori: nuvole e nuvole. Comunque incominciamo a salire il ghiaione, con un occhio al cielo che è minaccioso. Arriviamo sotto la parete della Ovest, ma non è quella che ci interessa, dobbiamo spostarci verso la Grande. Però il cielo, che fino a quel momento si era limitato ad essere minaccioso sta passando ai fatti. Una leggera pioggerellina incomincia a cadere e a noi non resta che rifugiarci in una delle grotte alla base della parete. Erano grotte, non so se naturali o scavate, che sono servite da rifugio ai soldati nella Grande Guerra. Pur essendo la zona parecchio frequentata anche allora (1961), nelle grotte si trovavano ancora dei residuati: reticolati, tavole in legno, altri oggetti che rendevano evidente la loro natura di ricovero per gruppi numerosi.
Ripensandoci, dovevano essere state scavate e non naturali: erano troppo regolari e parecchio profonde. Non so, e non mi interessa sapere, se fossero ricovero per i soldati nostri o per quelli austriaci: mi basta pensare che erano dei ragazzi: vent'anni o poco più e molti, moltissimi di loro morirono in quella che più che una guerra fu un macello. Durante quel tragico conflitto morirono quasi 10 milioni di soldati, quasi otto milioni furono dispersi (in altre parole: morti ma non si è trovato il corpo), per non parlare dei 6 milioni e mezzo di civili morti e dei quasi ventuno milioni di feriti. Nel gruppo dell'Adamello, in una sola notte, il 13 Dicembre 1916 ricordato poi come la ?Santa Lucia Nera?, morirono a causa delle valanghe circa 10.000 soldati, sia italiani che austriaci.
In forma molto confusa questi pensieri e ricordi mi giravano per la testa in quel lontano Settembre 1961 e mi rendevano sempre meno attraente l'ipotesi di una arrampicata. Sarà stato quello oppure sarà stata la pioggerellina che peraltro nel frattempo era cessata, oppure sarà stata, perché no, la paura di affrontare una via molto difficile, fatto sta che non me la sono sentita di proseguire e ho proposto a Enrico di tornarcene al rifugio. Probabilmente anche lui aveva le mie stesse sensazioni, perché ha accettato subito.
Al custode del rifugio giustificammo la nostra rinuncia solo con il timore della pioggia, e lui ci sgridò dicendo che in ogni caso si sarebbe potuto in caso di maltempo, attraversare qualche metro e trovare delle semplici vie di fuga. Non aveva capito, e del resto neanche noi ce ne rendevamo conto allora, quella sensazione di malessere che ci aveva preso.
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Messaggioda Danilo » ven dic 17, 2010 1:19 am

Racconta,racconta :P

Non dirci che hai già "esaurito"materiale sulle vicine Grigne perchè non ci crediamo;svuota il sacco,continua ancora con qualche aneddoto o curiosità su questa zona che magari riesco ad immedesimarmi meglio e poi :D ....non ti dimenticare le foto,danielegr,anche se sgualcite rimangono sempre ultra gradite..... :wink:sluurp
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Messaggioda Andrea Orlini » ven dic 17, 2010 16:09 pm

gatto alpestro ha scritto:Non sono un esperto di Comici. Ho letto la versione del cordino sul libro di Spiro dalla Porta "Comici. Le ali dell'angelo", ed. Nordpress, dove sono riportate testimonianze di prima mano di chi fu presente. Sembra che Comici portasse abitualmente con se un pezzo di cordino, probabilmente proprio per evenienze come quelle di sporgersi da una parete.....

Il cordino non era neanche suo, ma prestato quel giorno da Gianni Mohor che faceva parte della compagnia, proprio perchè quel pomeriggio Comici non aveva voglia di arrampicare e quindi non aveva materiale con sé; gesto che Gianni si rimproverò negli anni a venire. Raccontatomi dal figlio, vivente, di Mohor.
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Messaggioda milla » ven dic 17, 2010 16:13 pm

Mi piacciono i tuoi racconti... E non ho mai pensato che la "rinuncia" in montagna fosse sconfitta ma soltanto, in alcuni casi, intelligenza... 8O :roll:
Bisogna aver avuto in sè il caos per partorire una stella che danzi... Nietzsche
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Messaggioda danielegr » dom dic 19, 2010 16:23 pm

La Grigna, mi viene chiesta: è stata la mia iniziazione alla montagna, è stato il posto dove con la Parravicini ho imparato (finalmente!) ad arrampicare usando anche e soprattutto la testa. Anche lì, naturalmente, ci sono state delle rinunce, delle salite preventivate e poi non fatte, qualcosa che si era messo nel mirino, ma poi è scappato...
Fare l'elenco? Sarebbe troppo lungo e non interesserebbe a nessuno. Alcune rinunce furono dovute al fatto che non mi sentivo ancora abbastanza maturo, per esempio per la Gandini al Cinquantenario. Mi limito alla più semplice: la salita ai Torrioni Magnaghi in notturna. Quante volte nel mio gruppo abbiamo detto, in piena estate: a Milano non si dorme perché fa troppo caldo, allora perché non partiamo una sera in un periodo di luna piena andiamo ai Resinelli e da lì ai Magnaghi: ci facciamo la nostra salita e torniamo a casa, in tempo per farsi un paio d'ore di sonno approfittando del fresco delle ultime ore della notte, prima di andare in ufficio? Tanto stando a casa non si dorme lo stesso e il giorno dopo si è comunque istupiditi dal sonno. Però non siamo mai riusciti a farlo, per un motivo o per l'altro. E' solo una delle tante cose che avrei voluto fare e che non ho fatto.
Però in Grigna, ai miei esordi, ho fatto qualcosa che non era programmato, una delle tante stupidaggini che ho fatto in montagna e che per fortuna si sono concluse bene.
Io da diversi giorni mi lamentavo di un porro, o verruca, insomma di una fastidiosa escrescenza sul palmo della mano destra. Mi vergognavo a porgere la mano a chiunque, però mi faceva paura il consiglio che mi avevano dato: ?devi andare a fartela bruciare alla mutua?. La mutua, che allora a Milano era in corso Italia, era un posto che era meglio evitare: medici non propriamente agli apici della carriera, strumentazione del periodo Cavouriano, aghi per le iniezioni con la punta larga un bel millimetro quadrato... Va bene, ma questo è un altro discorso.
Eravamo più o meno alla fine aprile o primi di maggio e c'era parecchia neve, del tipo primaverile. Io e il mio amico Vanni andiamo in Grigna. Salita per la Cermenati e poi, al ritorno, vuoi che facciamo una cosa così banale come ritornare per la stessa via? Assolutamente NO!! Scendendo sulla destra sembra una traccia di sentiero, che facciamo, prendiamo quella e arriviamo... da qualche parte. Non sapevamo dove andava quella traccia, però scendeva e quindi ci andava bene. Abbiamo poi visto, negli anni successivi, che era l'inizio del Sentiero Cecilia, ma allora non lo sapevamo.
Dopo poco però, la traccia non la troviamo più. E allora che si fa? Beh, è in discesa, laggiù in fondo ci sarà pure qualcosa, ci pare che ci sia il sentiero della Direttissima, e allora scendiamo diritti. La neve tiene, è del tipo primaverile e spesso dobbiamo, vista la pendenza, scendere con la faccia a monte quasi come se stessimo arrampicando. Le mani però sono a contatto con la neve e risentono molto del freddo. Arriviamo a vedere il sentiero (la Direttissima) una decina di metri sotto di noi, ma c'è un salto e non individuiamo la via di discesa. Fortunatamente passa un tizio, probabilmente diretto alla Capanna Rosalba, e gli chiediamo indicazioni e riusciamo ad arrivare sul sentiero. Mi guardo le mani intirizzite e ? il porro è SPARITO!! Evidentemente la neve primaverile lo ha grattato al punto di consumarlo. Non è più ricomparso.
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Messaggioda danielegr » dom gen 09, 2011 11:05 am

La cresta Segantini in Grigna: per rinfrescarmi la memoria ho cercato un po' di notizie sul web e sono trasecolato. Mi aspettavo delle descrizioni che indicassero il percorso, magari che commentassero i passaggi chiave, ma certo non mi aspettavo di sentire parlare di fittoni resinati, spit, bolli sulla roccia, frecce di direzione... E per di più di calate in corda doppia. Calate in corda doppia sulla Segantini?! Ohibò!! E di una piazzola per l'atterraggio degli elicotteri? Certamente può essere molto utile per soccorrere degli alpinisti infortunati, però addirittura una piazzola mi pare un po' esagerato.
Finita questa sparata in perfetto stile ?vecchio che rimprovera perché non può fare?, ricorderei qualche altra cosa sulla famosa cresta Segantini. Anche ai miei tempi era affollatissima, e molto spesso affollata da gente che della roccia aveva idee molto approssimative. Ho visto, per esempio, cordate lunghissime, quattro o addirittura cinque componenti, che spesso si muovevano tutti insieme alla faccia della sicurezza...
E a volte qualcuno con le scarpe da città, almeno avessero avuto la suola di gomma, ma a giudicare dalle scivolate che faceva direi che proprio gomma non era.
Credo che i primi salitori (Eugenio Moraschini e Giuseppe Clerici nel 1905) già allora si rivoltassero nella tomba a vedere quello che succedeva, oggi poi... A proposito: la Cresta Segantini si chiama così proprio perché è stata dedicata al grande pittore Giovanni Segantini, ed è stata così chiamata nel 1899 anno della sua morte, prima ancora di essere salita.
Per noi era una via che percorrevamo molto spesso: ricordo che la prima volta ho avuto difficoltà a superare un passaggio dopo l'uscita da un camino al primo o secondo tiro. Era uso comune, dopo aver fatto qualcosa nella zona Sigaro-Magnaghi, salire in vetta per la cresta Sinigaglia, poi fare in discesa la Segantini fino al canalone di Val Tesa e lì farsi, per esempio, la Polvara sull'Angelina. E poi ricordo quella volta che, partito con un paio di compagni in una splendida giornata di sole arrivo all'ultimo tiro, anzi, io avevo già finito e ero arrivato sulla Cermenati a pochi metri dalla vetta che incomincia a piovere. Poco male, però ragazzi, cercate di venire su in fretta così ci togliamo in fretta dall'acqua. Infatti arrivano entrambi (non ricordo chi fossero) e ci sleghiamo. Ci sleghiamo e io incomincio a far su la corda quando arriva un fulmine proprio in vetta, probabilmente sulla croce. Fortunatamente in vetta non c'era più nessuno. L'acqua che scorreva verso di noi probabilmente ha fatto da conduttore e mi sono preso una bella scossa. Naturalmente abbiamo mollato tutto e siamo corsi giù per la Cemenati. Dopo una decina di minuti il temporale è passato e indovinate chi si è dovuto rifare mezza Cermenati per recuperare la corda?
Aggiungo un altro piccolo ricordo: in quel periodo, fine anni '50, in Grigna, proprio in vetta, c'era alla domenica un robusto montanaro. Al mattino si caricava come un mulo di Coca Cola, Aranciata e simili, tutti in bottiglietta perché non mi pare che le lattine fossero già di uso comune, e saliva per la Cermenati. Arrivato in cima metteva il suo carico in una buca che mi pare fosse sulla sinistra salendo. Questa buca, abbastanza profonda e riparata rimaneva piena di neve anche in estate e garantiva a quelle bibite una temperatura bassissima. Vendeva la sua mercanzia ai gitanti assetati che arrivavano sudatissimi in cima e che per una Coca ghiacciata avrebbero pagato qualsiasi cifra, peraltro giustificata dalla fatica di quel poveraccio che saliva un sentiero faticoso come la Cemenati con un carico da mulo.
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Messaggioda Danilo » dom gen 09, 2011 13:30 pm

danielegr ha scritto:La cresta Segantini in Grigna: per rinfrescarmi la memoria ho cercato un po' di notizie sul web e sono trasecolato. Mi aspettavo delle descrizioni che indicassero il percorso, magari che commentassero i passaggi chiave, ma certo non mi aspettavo di sentire parlare di fittoni resinati, spit, bolli sulla roccia, frecce di direzione... E per di più di calate in corda doppia. Calate in corda doppia sulla Segantini?! Ohibò!! E di una piazzola per l'atterraggio degli elicotteri? Certamente può essere molto utile per soccorrere degli alpinisti infortunati, però addirittura una piazzola mi pare un po' esagerato.
Finita questa sparata in perfetto stile ?vecchio che rimprovera perché non può fare?, ricorderei qualche altra cosa sulla famosa cresta Segantini. Anche ai miei tempi era affollatissima, e molto spesso affollata da gente che della roccia aveva idee molto approssimative. Ho visto, per esempio, cordate lunghissime, quattro o addirittura cinque componenti, che spesso si muovevano tutti insieme alla faccia della sicurezza...
E a volte qualcuno con le scarpe da città, almeno avessero avuto la suola di gomma, ma a giudicare dalle scivolate che faceva direi che proprio gomma non era.
Credo che i primi salitori (Eugenio Moraschini e Giuseppe Clerici nel 1905) già allora si rivoltassero nella tomba a vedere quello che succedeva, oggi poi... A proposito: la Cresta Segantini si chiama così proprio perché è stata dedicata al grande pittore Giovanni Segantini, ed è stata così chiamata nel 1899 anno della sua morte, prima ancora di essere salita.
Per noi era una via che percorrevamo molto spesso: ricordo che la prima volta ho avuto difficoltà a superare un passaggio dopo l'uscita da un camino al primo o secondo tiro. Era uso comune, dopo aver fatto qualcosa nella zona Sigaro-Magnaghi, salire in vetta per la cresta Sinigaglia, poi fare in discesa la Segantini fino al canalone di Val Tesa e lì farsi, per esempio, la Polvara sull'Angelina. E poi ricordo quella volta che, partito con un paio di compagni in una splendida giornata di sole arrivo all'ultimo tiro, anzi, io avevo già finito e ero arrivato sulla Cermenati a pochi metri dalla vetta che incomincia a piovere. Poco male, però ragazzi, cercate di venire su in fretta così ci togliamo in fretta dall'acqua. Infatti arrivano entrambi (non ricordo chi fossero) e ci sleghiamo. Ci sleghiamo e io incomincio a far su la corda quando arriva un fulmine proprio in vetta, probabilmente sulla croce. Fortunatamente in vetta non c'era più nessuno. L'acqua che scorreva verso di noi probabilmente ha fatto da conduttore e mi sono preso una bella scossa. Naturalmente abbiamo mollato tutto e siamo corsi giù per la Cemenati. Dopo una decina di minuti il temporale è passato e indovinate chi si è dovuto rifare mezza Cermenati per recuperare la corda?
Aggiungo un altro piccolo ricordo: in quel periodo, fine anni '50, in Grigna, proprio in vetta, c'era alla domenica un robusto montanaro. Al mattino si caricava come un mulo di Coca Cola, Aranciata e simili, tutti in bottiglietta perché non mi pare che le lattine fossero già di uso comune, e saliva per la Cermenati. Arrivato in cima metteva il suo carico in una buca che mi pare fosse sulla sinistra salendo. Questa buca, abbastanza profonda e riparata rimaneva piena di neve anche in estate e garantiva a quelle bibite una temperatura bassissima. Vendeva la sua mercanzia ai gitanti assetati che arrivavano sudatissimi in cima e che per una Coca ghiacciata avrebbero pagato qualsiasi cifra, peraltro giustificata dalla fatica di quel poveraccio che saliva un sentiero faticoso come la Cemenati con un carico da mulo.


Bello..bello!

...stile"vecchio che rimprovera perchè non può fare"....

:lol: :lol: :lol:

Dai,non venirci a dire che la Segantini in discesa la facevate in cordata con tanto di sicura.....non ci crederemmo :wink:

Hai girato nei monti pallidi,hai girato la valle del Gigiat,hai perlustrato le rocce delle Grigne e del Resegone però della parete di fondovalle più comoda e accessibile da Milano per quei tempi non ce ne hai ancora raccontato :roll: ....sopra Lecco...magari per la via Cassin:
Il tiro più chiodato,,l'unto della roccia dava già fastidio,c'era ancora la leggendaria radice,l'accoglienza del Zaccheo...ecc..ecc oppure la parete veniva un pò snobbata proprio per la sua vicinanza al centro abitato?

Che curioso che sono oggi.....ma fuori piove :evil:

:smt039
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Messaggioda danielegr » dom gen 09, 2011 18:51 pm

Beh, la Segantini in discesa era un ?must?!! Io molto raramente andavo slegato e ancor più raramente di conserva. Peccato che non facesse sempre così anche un mio caro amico. Quindi anche sulla Segantini in discesa andavamo in cordata e facendo le normali manovre di sicurezza. Ovviamente nessuna doppia. La prima volta è stata con la scuola Parravicini e ricordo che all'ultimo pezzo, arrivati oramai alla Val Tesa io ho fatto un passo un po' lungo, quasi un saltino, tanto oramai eravamo arrivati. Immediato il cazziatone di Valerio (il mio istruttore): Non si fa così! in montagna non si salta, non si sa mai che cosa può esserci sotto al piede, anche solo un sasso che gira e che ti procura una bella distorsione!!

Il Medale... ne parliamo un'altra volta, era un'altra delle mete obbligate.
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Messaggioda danielegr » mar gen 11, 2011 19:08 pm

climbalone ha scritto:
danielegr ha scritto:...Aggiungo un altro piccolo ricordo: in quel periodo, fine anni '50, in Grigna, proprio in vetta, c'era alla domenica un robusto montanaro. Al mattino si caricava come un mulo di Coca Cola, Aranciata e simili, tutti in bottiglietta perché non mi pare che le lattine fossero già di uso comune...


Questa l'ho scattata sul Torrione Magnaghi meridionale la scorsa primavera:
Immagine
E' sicuramente del tizio in questione, direi!
:D


Più probabilmente di un suo erede...
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Messaggioda danielegr » gio gen 13, 2011 10:51 am

Il Medale, o meglio, la Cassin al Medale: era un classico già allora (1958-1959), non si poteva fare a meno di salirla. Correva voce che in anni precedenti alpinisti di buon livello si allenassero tutto l'anno per essere in grado di fare il Medale in autunno. La via era stata aperta da Riccardo Cassin e Mario Dell'Oro, (il Boga: mica bau bau micio micio...) il 12 agosto 1931. La prima volta che l'ho salita è stato con Roberto. Lui l'aveva già salita in precedenza come secondo e quindi reclamò il diritto di ?tirarla? lui.
Ho ripetuto quella via numerose volte sempre con grande soddisfazione: il diedro in uno dei primi tiri era, secondo me, il passaggio più tosto. Il famoso traversino a pochi tiri dall'uscita non mi è mai sembrato troppo difficile, bastava capire che quel bell'appiglio là bisognava prenderlo con la mano destra, anche se sembrava più indicata la sinistra.
Non ricordo che la Cassin fosse molto chiodata, mi pare, ma non sono certo, di aver trovato solo un chiodo o forse due nel primo diedro.
La discesa: avveniva per una traccia di sentiero che talvolta per l'umidità poteva diventare scivolosa, ma certamente non c'era nessun mezzo artificiale tipo catene o simili per agevolarla.
C'è stata però una volta che la preventivata salita non si è potuta fare: c'eravamo sicuramente io, Ezio e un paio d'altri C'erano sicuramente delle ragazze, ma non ricordo chi né quante. Quando stiamo per attaccare sentiamo qualcuno che grida un po' sulla destra della Cassin. Non era un alpinista ma un, chiamiamolo ?cacciatore di frodo?. Questi saliva per il sentiero che normalmente si usa per la discesa, sceglieva un posto adatto e lanciava una corda attaccato alla quale scendeva alla ricerca di nidi di una particolare specie di passero. Quando li trovava razziava tutti i nidiacei che, immagino, avrebbe rivenduto a qualche cacciatore per richiamo. Non scendeva in corda doppia ma con uno strano sistema , attorcigliando la corda intorno ad una gamba. Quella volta, però, gli si era impigliata la corda e non riusciva a recuperarla per poter fare un'altra calata né, ovviamente, era in grado di risalire la parete. Allora abbiamo cercato, eravamo due cordate, di avvicinarci abbastanza, ma prima di noi sono arrivati due Ragni di Lecco che gli hanno inviato delle corde di riserva, lungo le quale quel tipo è sceso con quel suo strano sistema. Quando è arrivato vicino a noi ci ha ringraziato, anche se non eravamo riusciti a fare niente perché preceduti dai Ragni, e nel ringraziarci per poco non ci faceva precipitare dal terrazzino sul quel eravamo: ci ha alitato addosso e siamo quasi svenuti. Probabilmente aveva fatto colazione a base di solo aglio... Aveva anche giurato che il giorno dopo sarebbe ritornato su per recuperare la sua corda.
Naturalmente la perdita di tempo per questo tentativo di salvataggio non ci ha poi consentito di fare la via che intendevamo percorrere, ma un ricordo ce lo ha lasciato: quando alcuni giorni dopo ci siamo rivisti al CAI avevamo tutti i polsi bendati e pieni di vesciche: probabilmente eravamo incappati senza accorgercene in quella pianta urticante che mi dicono essere la ruta. Però in qualche giorno era passato tutto.
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Messaggioda danielegr » dom gen 23, 2011 16:48 pm

Rimanendo in Grigna lo Spigolo del Fungo è stata una delle vie che più mi sono piaciute: la feci la prima volta da secondo e mi entusiasmò. Difficile il primo tiro e addirittura da urlo per la sua eleganza l'ultimo. Una lunga salita in leggera diagonale che sbuca in vetta: tutta in massima esposizione, assolutamente in libera, difficoltà intorno al quarto grado, ampiamente alla nostra portata. Per notizia: la via era stata aperta il 20 Agosto del 1932 da Mario dell'Oro, il Boga, con Mary Varale e Giuseppe Comi.
Mi vergogno, ma non ricordo chi era il primo di cordata, forse Giorgio Bianchi ma ne sono tutt'altro che certo. Mi rimaneva però il cruccio di non averla potuto salire da primo, l'unico modo che mi faceva sentire ?mia? una via. Mi era sembrato che potesse essere nelle mie possibilità, anche se forse un po' al limite. Ma, come spesso succede, per un motivo o per l'altro non riuscivo mai a tornarci e la cosa mi rimaneva sul gozzo.
Finalmente un bel giorno sembra proprio che sia la volta buona: io e Vanni M. partiamo baldanzosi verso la nostra meta. Il solito sentiero della Direttissima, discesa verso il gruppo del Fungo, salita nel canalino che porta alla forcella fra la Torre e il Lancia e poi giù fino all'attacco dello spigolo. Uno sguardo verso l'alto per cercare la via e si parte. Eh, il primo tiro è bello tosto, sono vicino al mio limite, però ce la faccio a passare, arrivo allo spigolo, lo giro e poi salgo diritto. Non ricordo quanti chiodi c'erano, forse due o tre, e arrivo al punto di sosta, abbastanza comodo, se ricordo bene (sto parlando di mezzo secolo fa, potrei avere delle imprecisioni).
E' il momento di far salire il secondo: mi preparo e lo assicuro a spalla. Vanni sale senza particolari problemi per un pezzo, ma poi si trova in difficoltà e vola. Cerco di convincerlo a riavvicinarsi alla roccia e riprovarci, ma lui non se la sente e mi grida di calarlo. C'è però un problema: se ha già girato lo spigolo non ho abbastanza corda per calarlo su un punto di fermata. Cerco nuovamente di convincerlo a salire ma lui insiste per calarlo e dal tono di voce mi pare anche che voglia farlo con urgenza, forse la corda invece di restare in vita è salita un po' e gli rende difficoltoso il respiro. Colpa mia, quindi, che non avevo ben controllato la sua legatura. Non ho scelta, devo calarlo subito e sperare che non abbia ancora girato lo spigolo. Per fortuna finisce tutto bene, non l'aveva ancora girato, e arriva felicemente al punto di partenza. Quindi per me una calata in doppia e rinuncia a farmi tutto lo spigolo... Mi stavo già pregustando l'ultimo tiro!!
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Messaggioda Danilo » mer gen 26, 2011 1:58 am

:lol: :lol: che sfiga...per cui da come ho capito,alla fin della fiera,lo spigolo del Fungo da primo è rimasta una tua salita "irrisolta".....curiosità:ma sul primo tiro,quello più tosto di tutta la scalata,salivano tutti usando le staffe oppure,quelli magari più audaci ,riuscivano a non utilizzarle?

Ti ho rivolto questa domanda perchè manco mio padre,di tre-quattro più grandicello di te,si ricorda di questo particolare.....ricorda invece molto bene l'ultimo tiro....uno dei tiri più belli che ha scalato in Grignetta....una scala verso il cielo :wink:
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Messaggioda danielegr » mer gen 26, 2011 11:01 am

Danilo ha scritto::lol: :lol: che sfiga...per cui da come ho capito,alla fin della fiera,lo spigolo del Fungo da primo è rimasta una tua salita "irrisolta".....curiosità:ma sul primo tiro,quello più tosto di tutta la scalata,salivano tutti usando le staffe oppure,quelli magari più audaci ,riuscivano a non utilizzarle?

Ti ho rivolto questa domanda perchè manco mio padre,di tre-quattro più grandicello di te,si ricorda di questo particolare.....ricorda invece molto bene l'ultimo tiro....uno dei tiri più belli che ha scalato in Grignetta....una scala verso il cielo :wink:


Ciao quasi omonimo!! Rispondo: Sì è rimasta "irrisolta" come anche altre salite non in Grigna che ancora mi brucia di non aver potuto fare, ma questo è un altro discorso.
Staffe: No, assolutamente si passava senza staffe, e così certamente avrà fatto anche tuo padre (salutamelo, magari ci siamo anche incontrati in Grigna). Su quel tratto, se ricordo bene sul traversino prima di girare lo spigolo c'erano un paio di chiodi e basta. Le staffe venivano usate piuttosto raramente: io personalmente ho il ricordo di averle usate solo sulla Cassin al Nibbio. Anche recentemente parlando con mio coetaneo si discuteva se la staffa veniva usata anche sul primo tiro dello Spigolo del Clerici (sempre in Grigna). Io sono certissimo di non averla mai usata su quel tiro, che peraltro è tosto ma non difficilissimo.
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Messaggioda danielegr » mar feb 01, 2011 20:45 pm

Volevo raccontare qualcosa di una via che ho percorso più volte sul Badile, sulla parete Sud-Est. L'ho (l'abbiamo) sempre chiamata la via Molteni-Valsecchi, ma facendo alcune ricerche vedo che questa è un'inesattezza. La via, in effetti, è stata aperta il 16/17 agosto 1935 da Mario Molteni e da Mario Camporini. Mentre di quest'ultimo non sono riuscito a trovare notizie, Molteni è quello che insieme a Valsecchi, Cassin, Ratti e Esposito il 14/16 luglio 1937 ha aperto la famosissima via sulla Nord Est del Badile. Mario Molteni e Giuseppe Valsecchi morirono lungo la discesa per lo sfinimento. In effetti avevano attaccato la parete due giorni prima di Cassin, furono raggiunti e proseguirono insieme la salita. Il maltempo e il freddo furono probabilmente i principali fattori della morte dei due comaschi. Era stata una grandissima impresa, tanto che per undici anni la via non venne ripetuta, fino al 1948 con la salita di Gaston Rebuffat e solo nel 1949 fu compiuta la prima ripetizione senza bivacco da parte dei francesi Lionel Terray e Louis Lachenal. Sono i nomi, Rebuffat, Terray e Lachenal, dei conquistatori dell'Annapurna, il primo Ottomila la cui prima salita nel 1950 va attribuita ai francesi Maurice Herzog e Louis Lachenal: entrambi riportarono gravi congelamenti che impedirono la prosecuzione dell'alpinismo a Herzog. Lachenal dopo una lunga riabilitazione e malgrado le amputazioni alle dita dei piedi ? venne chiamato ?la guide au pieds courts? - poté ritornare in montagna.
Ma io qui sto divagando: la Nordest non l'ho mai percorsa e anche quella è andata a riempire il cassetto dei sogni non realizzati. Volevo parlare della via Molteni: una via splendida e allora (1960 pressappoco) non molto ripetuta. Era una via simpatica, perché l'esposizione ne permetteva la salita senza troppi problemi anche a primavera inoltrata. C'era sì da superare un nevaio all'inizio, ma non me lo ricordo proprio come particolarmente difficile o pericoloso. La via proseguiva con un paio di passaggi chiave: il primo poco dopo l'inizio consisteva in un diedro che richiedeva una buona tecnica. E' proprio qui che quelli della cordata che ci precedeva (mi pare che fossero tedeschi) avevano lasciato un ricordino, un po' troppo odoroso... Purtroppo il passaggio era obbligato e la corda si era sporcata, cosa che ha reso alquanto difficoltose le manovre di sicurezza che veniva fatta a spalla...
A proposito, ricordo che in quella salita io e Roberto arrampicavamo con due corde: però non mi pare che la salita le richiedesse proprio, era tutta in libera salvo, sempre che ricordi bene, un chiodo nel diedro e forse altri tre nel traverso. Il traverso, appunto, era il secondo passaggio chiave. Bisognava salire diritti fino ad un chiodo, dal quale scendeva in diagonale verso sinistra un cordino che denunciava chiari sintomi di vecchiaia. Attaccarsi al cordino o non attaccarsi? (Naturalmente non ci passò neanche per l'anticamera del cervello l'idea di sostituirlo). Il primo di cordata riusciva a passare anche senza usare il cordino, sfruttando la tecnica della corda frenata, ma per il secondo non c'era altra possibilità.
Superato il traverso non c'erano più grandi difficoltà: si arrivava in vetta senza problemi e, dopo aver mangiato qualcosa (io immagino che mi sarò pappato la solita savoiarda e un panino con la cotoletta alla milanese) si poteva pensare alla discesa, cosa che non creava problemi, o almeno, non li avrebbe creati se il tempo fosse rimasto al bello. Invece verso la fine un'acqua della miseria!! Però eravamo già a buon punto e per evitare problemi abbiamo preferito buttare una doppia lunga (ecco che le due corde sono venute utili...) arrivando alla base. Peccato solo che le corde si fossero bloccate e non siamo riusciti a recuperarle. L'abbiamo fatto la mattina dopo.
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Messaggioda Danilo » mer feb 02, 2011 2:06 am

Già.... Camporini,tant'è vero che pure oggi,e non solo cinquant'anni fa,ancora parecchie persone continuano imperterriti a chiamarla molteni-valsecchi...l'ho constatato anch'io l'hanno scorso che ero nella zona.....probabilmente perchè "richiama"all'orecchio il nome completo del bivacco in cima al Badile..o forse perchè si continua ad associarlo più semplicemente alla fama di questo "duo"tristemente diventato celebre in quella terribile estate del '37...anzi ti dirò di più:all'esterno del rifugio Gianetti è installata una sorta di bacheca con disegnati i nomi e gli schizzi delle scalate più frequentate della sud...mi sembra di ricordare che pura qua è presente questo genere di inesattezza.però è già trascorso un anno...a volte la memoria gioca brutti scherzi anche a me :lol:

danielegr....non mi stancherò di dirlo....vogliamo le tue gustose storie come questa ma anche le foto,bianco/nero,stropicciate,tutte,belle e anche brutte!!! :!:



Riguardo al racconto della tua salita.....allora quel giorno eravate proprio una cordata che faceva cagare:wink: :wink: :wink: :wink: :wink:
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Messaggioda danielegr » mer feb 02, 2011 9:55 am

Purtroppo per le foto non c'è molto da fare: innanzitutto in quegli anni non si usavano ancora quelle meravigliose macchinette che si adoperano oggi, io avevo (e ho ancora: chissà in quale meandro della casa è finita) una Kodak Retina I° A che non era il massimo da portare in roccia e che assolutamente doveva essere manovrata con due mani, quindi poco agevole durante un'arrampicata. Le poche foto che quindi avrò fatto chissà dove sono finite nel corso dei vari traslochi. Comunque cercherò se trovo qualche negativo da scannerizzare.

Comunque.. sì, abbiamo fatto veramente cagare! e meno male che la pioggia durante la discesa aveva un po' pulito le corde (comunque con un po' di carta avevamo già dato la prima "botta"), altrimenti la doppia sarebbe stata più complicata.
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Messaggioda danielegr » mer feb 16, 2011 12:55 pm

Non è il racconto di una salita o di chissà cos'altro, solamente un ricordo che potrebbe, forse, servire a ricordare quali siano i pericoli che si possono correre in montagna, anche in posti che si crede di conoscere come le proprie tasche.
Già la Grignetta: la conoscevo benissimo, la Direttissima l'avevo percorsa chissà quante volte, con il sole, con la pioggia, con qualsiasi tempo. E mi vantavo di conoscerne ogni sasso, di poterla percorrere anche ad occhi chiusi.
Già, anche ad occhi chiusi, dicevo. Eravamo andati io e un mio amico, Vanni credo, ma non ne sono sicurissimo, a fare qualcosina dalle parti del rifugio Rosalba. E' il momento di ritornare: il tempo certamente non è dei migliori, ma anche se si mettesse a piovere, un po' d'acqua sul sentiero non ha mai fatto male a nessuno. Il sentiero, come ho già detto lo conosciamo benissimo, siamo alpinisti esperti oramai e non vediamo quali potrebbero essere i problemi.
I problemi però li vedremo presto: dopo aver fatto qualche centinaio di metri sulla Direttissima cala la nebbia: fittissima, si vede solo a tre-quattro metri. Il sentiero comunque è ben tracciato e si può seguirlo senza grosse difficoltà, anche se allora non c'erano le paline che adesso vedo su qualche fotografia. E' ben tracciato, però quando si attraversa qualche canalone le cose si complicano, il sentiero diventa una traccia e non è semplice non perderlo. Le cose proseguono abbastanza bene fino al canalone di Val Tesa, quello dove sorge la guglia Angelina, e che è abbastanza largo. La nebbia si infittisce ancora e perdiamo la traccia. Proprio non riusciamo a trovare l'uscita dall'altra parte: saliamo un po', niente, scendiamo un po', niente, anche ad andare diritto non riusciamo a trovare il sentiero sull'altra parte del canalone. Continuiamo a tentare in quel muro di nebbia ma non troviamo il bandolo della matassa: eppure è un posto che conosciamo bene. Non saprei quanto tempo sia durata la nostra ricerca, così a occhio direi una mezz'oretta. forse qualcosa di più.
Finalmente, quando oramai incominciavamo a pensare che l'unica era tornare indietro e pernottare al Rosalba, oppure scendere per la Val Scarrettone nella quale la nebbia non avrebbe dovuto esserci, la nebbia si alza un pochino, per qualche secondo solamente, ma abbastanza per individuare l'uscita. Con un po' di visibilità sembra intuitivo che il sentiero doveva essere lì, però non eravamo riusciti a trovarlo.
Morale della favola? Nessuna, salvo quella che dovrebbe essere nota a tutti: la nebbia è una brutta bestia e che in montagna bisogna sempre andare con estrema attenzione. In un'altra occasione, non in montagna questa volta ma in auto, non sono riuscito a trovare la via nella quale abitavo: ho dovuto percorrere tutta la strada principale e tornare indietro per individuare la mia via.
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Messaggioda danielegr » gio feb 24, 2011 18:09 pm

Frugando nel fondo dei cassetti ho ritrovato una foto che si riferisce a questo topic
Era la salita per la via Bonacossa al Cengalo, quella nella quale, arrivato in vetta, ho incominciato a star male e a rovinare il pranzo ai miei compagni. Ecco la foto:
Immagine
Purtroppo dei tre soggetti l'unico ancora vivo sono io: sono quello con quel ridicolo maglione a righe orizzontali: dietro di me Angelo M. morto di infarto una ventina di anni fa, quello sdraiato alla mia destra era il mio caro amico e compagno Roberto P., caduto sulla Tour Ronde.
Ma bando alle malinconie: osservate i miei calzettoni con quella riga a metà: erano due paia di calzettoni in parte rovinati e fusi insieme dalla mia mamma. Erano brutti, lo so, però coprivano anche il ginocchio, cosa che in montagna era utile. La foto era stata scattata da Vanni M., che era stato compagno di cordata di Angelo.
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Messaggioda m.m78 » ven feb 25, 2011 11:55 am

e noi che ce lo meniamo se un indumento ha una determinata marca o no :roll:

continua ti prego i tuoi racconti sono bellissimi dovresti scrivere un libro :wink:
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