ok, per lanciare ulteriormente il topic giusto (tra i due...ma io scherzavo!!!)...posso postare un raccontino che avevo scritto. A chi non interessa salti...ma chi conoscesse i personaggi citati, se mi rimettesse in contatto con loro gliene sarei molto grato. carramba!!!
Sete d?oriente
Torino d?inverno è un acquerello triste ed incolore che ricorda certi quadri impressionisti di Parigi. Gli alberi spogli allungano le loro dita nere verso il cielo grigio, mentre la gente si affretta a salire sui tram e sui pulmann, con il terrore di fare tardi in ufficio. Parlano di Torino come una città operaia perchè qui c?è la Fiat, una fabbrica che dà lavoro a più di cento mila persone. In effetti quasi tutto a Torino ruota attorno alla Fiat: una piccola crisi di questa fabbrica lascerebbe senza lavoro centinaia di famiglie. Sono nato in questa città e sin da studente mi sono abituato alle ore in pulmann necessarie per raggiungere la scuola e poi il posto di lavoro, in silenzio, con lo sguardo perso nei vetri appannati, oppure scrutando tra i pensieri di decine di pendolari.
Un giorno poi sono entrato a lavorare in fabbrica, impacchettavo risme di carta nella cartiera di mio zio. All?inizio ci andavo in bicicletta, sedici chilometri ad andare e sedici a tornare respirando lo smog cittadino in sella ad una Olmo, abituata ovviamente più ai boschi e le montagne che non alle strade cittadine. Non avevo ancora sedici anni, e lo zio mi pagava a cottimo. 10 lire a pacco, riuscivo a fare 4000 lire in mezza giornata: mi sembrava una paga più che onesta. Mio zio era uno che si era fatto da solo, dai suoi non aveva ereditato alcunchè. Da ragazzo nato in un paesino della Val Maira era sceso in pianura e sgomitando e facendosi strada nella giungla padana era alla fine diventato industriale. Credeva nel liberismo economico, era naturale che anche io dovessi fare la gavetta senza favoritismi di nessun tipo. Ma io avevo respirato altra aria e quella vita non era scritta nel mio destino e lui lo sapeva. Dopo aver assorbito a sufficienza il piombo e il petrolio della tipografia, il lavoro in cartiera non mi era sembrato poi così male. Potevo impacchettare risme senza pensare a quel che stavo facendo, e allo stesso tempo sognare di essere lontano. A 19 anni lo zio mi regalò una 124 sport che non usava più. Era una macchina ridicola per un ragazzo quale ero io, ma non c?era certo di che lamentarsi. Di tutti gli amici di arrampicata che avevo, ero l?unico a possedere una macchina, non dovevo più fare quegli interminabili viaggi in bicicletta ed in pulmann. Nessuno osò mai prendermi in giro, tutti ringraziarono il cielo che aveva fatto piovere quel mezzo che rendeva possibile raggiungere valli che prima erano tabù. Con il ?carciofo verde? raggiungemmo il Devouly, dove spaccammo anche la coppa dell?olio, o il lontano Verdon, dopo aver guidato tutta la notte. Era la classica macchina da ?fighetto?, ma la trattavamo come un?R4...
Nelle sere dell?interminabile inverno torinese andavo ad arrampicare nella palestra del Palazzo a Vela, la prima palestra indoor d?Italia. Era un muro in cemento con varie prese in legno. C?erano anche alcune fessure regolari. Allenandomi su queste ero riuscito finalmente a ripetere la Fessura Kosterlitz in Valle dell?Orco, un punto di riferimento di quell?epoca, su cui fiorivano ogni tipo di leggende metropolitane. A tutti sembrava fuori di senno scorticarsi le mani sul cemento per diventare capaci di salire una crepa in un masso, a me sembrava di imparare un?arte marziale allora appannaggio solo di alcuni stregoni quali Gabriele Beuchod, che era grado di salire vie ad incastro addirittura senza corda.
Qui una sera conobbi Janusz e Krystof, due studenti polacchi scappati da Varsavia in seguito ai disordini legati a Solidarnosc. Sicuramente in Polonia erano ricercati dalla Polizia e non potevano ritornare, così stavano alla Casa dello Studente a Torino e frequentavano l?Università. Krystof e Janusz parlavano abbastanza bene l?italiano, Krystof addirittura colorito con vari termini piemontesi. Era uno spasso sentirlo! Con Krystof ci fu un?intesa immediata e fu normale andare ad arrampicare insieme. Era il contrario di me. Gli piaceva tirar tardi e frequentare belle ragazze, la montagna e l?arrampicata erano per lui solo un piacevole diversivo. Per me invece erano la vita stessa, l?aria che respiravo. Per questo mi squadrava sempre con un sorriso ironico e compassionevole. Ma aveva una grande ammirazione per me e mi avrebbe seguito ovunque, anche se spesso scuoteva la testa incredulo, specialmente quando gli proponevo un?uscita in invernale. Mai avrei immaginato che mi sarebbe capitato un polacco amante del sole e delle t-shirt!
Quella mattina di febbraio, dopo aver caricato Daniele, attraversai la città verso il centro dove avevo appuntamento con loro. Ma all?angolo della piazza c?era solo Janusz. Lo rispedii seccato a cercare Kris, ma nella sua camera non c?era e non si sapeva dove cercarlo, finchè lo trovarono addormentato in quella di una studentessa... avevamo perso un?ora e ci attendevano due ore di strada per raggiungere la nostra meta.
Imboccammo la Val Maira che era ancora buio, ma potevo indovinare la faccia di Kris con quel suo sorrisetto. Alla luce fredda del mattino la Rocca Provenzale si ergeva contro il cielo, come un enorme menhir. Questa era la valle dove era nato mio zio e parcheggiai la sua macchina alla fine della strada, contro un muro di neve, come la parcheggiavo nel cortile della sua fabbrica. Ma non c?erano quattro mura ad attendermi e ci avviammo tra i campi bianchi verso la nostra parete, mentre il sole cominciava già ad indorare le rocce quarzitiche.
Tutto scivolò via in fretta, ed aprimmo una bella via, non eccessivamente difficile, sulla parete della Torre Castello, a fianco al famoso Diedro Calcagno che da lì a poco avrei affrontato in solitaria. Ci ritrovammo tutti e quattro in cima nella luce limpida del pomeriggio invernale, mentre il sole stava velocemente scendendo dietro la cima dello Chambeyron. Battezzai la via Sete d?Oriente, in omaggio ai foulard di Kris, ma anche ai libri di Hesse, che riempivano le mie notti di allora. Raggiungemmo la macchina che era nuovamente buio e la città mentre si stava preparando ad un nuovo lunedì di lavoro.
Successivamente ho perso le tracce di Kris e Janusz. Scaduto il permesso di soggiorno, l?unica alternativa per Kris di restare in Italia era sposarsi con un?italiana e trovare un lavoro. Riuscii a procurare un?amica cinquantenne di mia madre disposta ad un matrimonio di facciata, in modo da evitare la partenza per la Polonia. Kris si sposò, ma di lì a poco io lasciai Torino e la vita ci divise. Forse, quando la situazione poltica del loro paese si è normalizzata, Kris e Janusz sono tornati in Polonia. Forse stanno arrampicando in inverno sui Tatra, forse sono padri di famiglia con un lavoro sicuro e ben retribuito ed hanno dimenticato l?alpinismo...e quella bella giornata di un lontano febbraio.