l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Arrampicata e alpinismo su roccia in montagna

Messaggioda danielegr » sab gen 12, 2008 16:10 pm

Un intermezzo sciistico: con il mio collega e amico, Alfredo, compagno di diverse arrampicate e di tante sciate ci prendiamo qualche giorno di ferie a decidiamo di fare un giro con gli sci in Val Formazza, sarà stato il Marzo del 1956 o 1957. Alfredo mi dice: ho dei parenti a vicino a Domodossola, la prima sera possiamo fermarci da loro e poi il giorno dopo partiamo decisi per il nostro giro. Mi sembra una buona idea e partiamo. Né io né Alfredo pensammo però alle conseguenze: andare in un paesino nel quale ci sono diversi parenti... Bisogna visitarli tutti, e da ognuno accettare il bicchiere (o i bicchieri) di vino e il salame ?fatto proprio da noi... sentirà come è buono!?. Alla fine del giro eravamo tutti e due piuttosto sull'alticcio (io ero decisamente partito, ciucco tradito...). La mattina dopo, naturalmente, non ci svegliamo in tempo per prendere la prima corriera, e, dopo aver salutato ancora tutto il parentado (con altra mangiata e libagione, altrimenti si offendevano...) finalmente riusciamo a prendere la corriera che ci doveva portare alla base di partenza. Meta: la casa Edison alla diga del Vannino. Non saprei dire se eravamo male informati o se ancora eravamo sbronzi, ma in effetti siamo scesi alla fermata prima di quella giusta: a Valdo anziché a Ponte Formazza (non giuro sui nomi: li ho ricostruiti cercandoli sulla cartina).
Risultato: l'ora era tarda, intorno alle dodici e quindi la neve marcia, la salita era molto più ripida e noi avevamo i postumi della sbronza. C'è da meravigliarsi se a tarda sera non eravamo ancora arrivati? Quando incominciava a fare buio per nostra fortuna troviamo un rudere, credo che fosse un riparo per le bestie e lì ci prepariamo per passare la notte. La porta non si chiudeva e la neve arrivava dentro per almeno un metro, ma c'era un rialzo, forse destinato a ricevere il fieno sul quale si poteva passare la notte. E lì ci siamo messi, preparandoci con il fornellino Meta qualcosa di caldo. Non è stata certamente una notte di autentico riposo, ma comunque eravamo almeno al riparo. Al mattino successivo, finalmente riusciamo ad arrivare alla casa Edison (a quel tempo l'Enel non esisteva ancora) festosamente accolti dai custodi della casa, felici di vedere finalmente qualche faccia nuova. Dopo un giorno e una notte di riposo ripartiamo, sci ai piedi, sperando di trovare altrettanta disponibilità nelle altre case Edison. Però questa volta (e giustamente, direi) non ci hanno voluto ospitare; hanno detto: in montagna di notte non si caccia via nessuno, ma adesso è giorno è ci sono ancora parecchie ore di luce, potete benissimo andare avanti fino al Rifugio del Cai Maria e Luisa. E così abbiamo fatto. Non racconterò delle gite che abbiamo fatto avendo base a quel rifugio, perchè sarebbero banali, e poi perchè non me le ricordo bene. Ricordo solo l'ambiente stupendo, meraviglioso ed entusiasmante che c'era. Mi interessava (spero che interessi almeno un pochino anche a voi) raccontare del mio primo e unico ?bivacco? (beh, chiamiamolo così, anche se lo so che stiamo esagerando) in montagna, e anche sottolineare quanto a volte lo sbevazzare un bicchiere di vino in più (comunque erano parecchi di più di uno: ve lo garantisco...) possa influire nel corso di una salita.
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Messaggioda danielegr » mer gen 16, 2008 20:32 pm

In questa nuova storia credo che non ci siano particolari differenze fra i miei tempi e quelli attuali. I fulmini non hanno una collocazione temporale, quando arrivano, soprattutto in montagna, fanno veramente paura. Che poi sia il 1958 o il 2008, non vedo differenze. La mia prima esperienza in quel campo avvenne proprio nel 1958 o giù di lì. Io e Roberto, il mio compagno di cordata alla Parravicini, la scuola della quale avevamo appena frequentato il corso, andammo per qualche giorno in Val Masino (o meglio in Val Porcellizzo), al Rifugio Gianetti. E' inutile che stia a raccontare la bellezza del posto: chi c'è già stato la conosce già, per chi non c'è ancora andato non sono certo le mie parole quelle che possono descrivere la corona di monti intorno; solo un consiglio: andateci al più presto possibile perché ne vale veramente la pena.
Arrivammo al rifugio decisi a sfruttare al meglio le giornate che avevamo, ma il giorno dopo il tempo non era dei migliori. Un po' di nuvole, niente di preoccupante: il custode ci sconsigliò salite impegnative, appunto perché il tempo non prometteva bene. Potete salire la cresta del Pizzo Porcellizzo, ci disse, vedete, quello lì dietro ai Denti della Vecchia. Il tempo dovrebbe tenere per il tempo della salita, e poi la discesa non presenta difficoltà, anche se dovesse piovere.
Partiamo, e in effetti la salita si svolge senza particolari problemi. Roccia buona, media difficoltà. Però siamo appena a metà salita e quelle nuvole nere che si stanno addensando, non mi piacciono proprio... In men che non si dica, questione di sette o otto minuti, non di più, da quelle nuvole nere incomincia a venire giù acqua a catinelle. Beh, pazienza, anche se bagnata la roccia non presenta difficoltà particolari, e poi siamo quasi arrivati alla cresta... dai che anche se ci bagnamo un po' non è un problema.
Appena arrivati alla cresta si scatena un temporale di quelli coi fiocchi. Eravamo già belli fradici, adesso anche un temporale... Non ho mai sentito tuoni così potenti, segno che i fulmini cadevano vicinissimi. Sentivamo la ferraglia sfrigolare, sentivo i capelli che in concomitanza con la caduta dei fulmini si alzavano sotto il cappellino di lana dandomi delle sensazioni stranissime... e poco gradevoli. Vedevo intorno a Roberto tutto un alone azzurrognolo, e lui diceva che lo vedeva intorno a me. Ho avuto veramente paura.
Abbiamo riunito tutta la ferraglia in uno zaino che abbiamo calato lungo la parete e abbiamo cercato un po' di riparo in un anfratto. L'inferno ( cioè i fulmini) non è durato molto, direi a occhio circa un quarto d'ora. Poi finalmente la pace: niente più fulmini ma solo acqua, e tanta... Quindi completiamo la salita, mancava pochissimo, e iniziamo la facile discesa. Vorremmo slegarci, ma la corda di canapa fradicia non è dello stesso parere e siamo costretti a arrivare al rifugio ancora legati, fra le sghignazzate del Fiorelli, il custode.
Alcuni anni dopo ebbi un altro ?incontro ravvicinato? con il fulmine. Avevamo fatto la Segantini, in Grigna, con tempo buono e un bel sole. All'ultimo tiro, quello che sbuca della Cermenati a una ventina di metri dalla meta, succede il finimondo: anche qui acqua a non finire, comunque arrivo alla fine e faccio salire anche i compagni. Ci sleghiamo e mentre sto raccogliendo la corda, fradicia naturalmente, arriva un fulmine sulla vetta della Grigna, immagino alla croce di vetta. L'acqua che scorreva a fiumi deve aver fatto da conduttore e io mi sono preso una bella scossa, ma bella forte...
Ovviamente abbiamo mollato corda e quant'altro e giù di corsa per la Cermenati. Anche qui il temporale è durato pochi minuti, passati i quali siamo risaliti a riprenderci la nostra roba.
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Messaggioda kala » gio gen 17, 2008 11:09 am

danielegr ha scritto:...


8O 8O 8O


Ok, ora ci manca la grandine o la neve fuori stagione.. Racconta, racconta, che ti stiamo sempre a sentire.. :mrgreen:

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Messaggioda danielegr » dom gen 20, 2008 11:52 am

Prendo spunto da questo post:
[url]http://www.forum.planetmountain.com/phpBB2/viewtopic.php?t=32471&highlight=
[/url]

Ai miei tempi le pelli di foca non si incollavano: si usavano due sistemi. Il primo, il più semplice, consisteva semplicemente nell'uso di fettucce. La pelle di foca aveva all'inizio un anello, che si agganciava alla punta ricurva dello sci, in coda una fettuccia più lunga che si tirava fino all'attacco dello sci. In mezzo un paio di fettucce che abbracciavano lo sci stesso. E' logico che così facendo ci fossero dei problemi quando si andava a mezza costa: le lamine dello sci non riuscivano a fare sufficiente presa perchè le fettucce, quelle in mezzo, diminuivano la loro presa. Inoltre la tenuta non era mai perfetta: succedeva talvolta che ci si dovesse fermare e risistemare le pelli perchè durante la marcia si spostavano. In particolare succedeva che si fermasse della neve fra lo sci e la pelle formando una specie di cunetta molto fastidiosa.
C'era anche un altro sistema, più efficiente, mi pare che si chiamasse "Trima": il davanti e il di dietro erano molto simili al sistema delle fettucce, la differenza stava tutta nel "mezzo". In sostanza, sulle pelli erano cuciti dei "binari" che andavano a incastrarsi in apposite scanalature metalliche.
Queste ultime (bisognava necessariamente bucare lo sci) venivano incastrate nella scanalatura longitudinale che c'è sotto allo sci stesso.
Così anche a mezza costa le lamine avevano una buona tenuta e la pelle di foca riusciva a mantenere meglio la sua posizione per tutta la salita.
L'inconveniente era che la scanalatura dello sci veniva in parte "riempita" da quei binarietti metallici che vi venivano incastrati, e quindi la manovrabilità dello sci in neve fresca ne risentiva. Inoltre dispiaceva bucare lo sci anche perchè, essendo in legno, l'umidità che inevitabilmente stagnava all'interno del buco, favoriva una precoce morte dello sci stesso.[code][/code]
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Messaggioda danielegr » dom gen 20, 2008 16:48 pm

Forse prima non sono stato troppo chiaro: vediamo se con una foto mi spiego meglio:





(non vi spaventate per il casino: in cantina non si può pretendere di più...)
Quella più vicina è quella con le "fettucce", o meglio, con dei cinghietti in cuoio, l'altra è quella cha ha montati i "trima", che però quasi certamente non si chiamano così.

Immagine

Oh, finalmente ce l'ho fatta a caricare la foto!!
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Messaggioda kala » dom gen 20, 2008 18:47 pm

danielegr ha scritto:Oh, finalmente ce l'ho fatta a caricare la foto!!


Non male per un matusalemmix! :twisted: :twisted:

:D

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Messaggioda danielegr » lun gen 21, 2008 11:31 am

Mentre ieri cercavo le pelli di foca per fotografarle, mi sono capitati in mano questi due strani cosi:


Immagine

Ammetto che in un primo momento non riuscivo a ricordare a cosa diavolo servissero, poi, finalmente il mio neurone ha ricominciato a funzionare.
Nei primi tempi gli sci che si usavano avevano attacchi fissi chiamati Kandahar: formati essenzialmente da una ganascia davanti, nella quale veniva infilato lo scarpone e da un cordino in acciaio, a molla, che catturava il tallone. Il cordino passava attraverso delle guide fissate sui lati dello sci, sotto al posto occupato dallo scarpone. Si garantiva così una buona tenuta del tallone se il cordino si fosse fatto passare in tutte le guide, mentre c'era la possibilità di farlo passare solo nella guida anteriore per permettere il libero movimento del tallone. Quando però sono apparsi i primi attacchi di sicurezza è sparita la ganascia anteriore. Quindi si poneva il dilemma: attacchi di sicurezza che però non avrebbero permesso il movimento del tallone, e quindi inutilizzabili per scialpinismo, oppure i vecchi Kandahar, rinunciando però agli attacchi di sicurezza e quindi aumentando di parecchio il rischio di fratture?
Quelle piastrine che ho fotografato riuscivano (non sempre benissimo, per la verità) a permettere di usare lo stesso sci sia per discesa sia per scialpinismo. Venivano incastrate nel posto che avrebbero occupato le vecchie ganasce Kandahar per la salita, e, logicamente, tolte per la discesa
Non ho detto che quel tipo di attacchi non prevedeva la talloniera che oggi è in uso: la tenuta era garantita dal cordino a molla che veniva tirato mediante una leva posta anteriormente rispetto all'attacco di sicurezza.
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Messaggioda scheggia » lun gen 21, 2008 14:59 pm

danielegr ha scritto:Ammetto che in un primo momento non riuscivo a ricordare a cosa diavolo servissero, poi, finalmente il mio neurone ha ricominciato a funzionare.


fantastico sei anche spassoso!!!


:smt044



:wink:
Difronte
Alla
Vita
Insegue
Delle
Emozioni

i limiti sono solo nella nostra testa
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Messaggioda danielegr » gio gen 24, 2008 19:34 pm

Mi aveva incuriosito sentire parlare di "spit". Non li avevo mai visti e sono andare a cercare un'immagine su Google. Non sono poi molto diversi da quelli che chiamavamo "chiodi ad espansione" e dei quali favoleggiavamo nei miei anni verdi. Premetto che quello che scrivo è dovuto al ricordo di quello che vedevo e sentivo dire, perchè io personalmente non ho mai usato altro che i normali chiodi da fessura.
I tipi di chiodo dei quali parlavamo erano in sostanza tre:
- il primo era un chiodo di ferro dolce a sezione esagonale (o era ottagonale? non ricordo) che veniva inserito a forza di martello nel buco (rotondo e di diametro più o meno uguale alla sezione del chiodo). Il chiodo si deformava per adattarsi al buco e garantiva un'ottima tenuta.
- il secondo era simile al primo: però era rotondo e in cima aveva una specie di cuneo in acciaio più duro che, una volta che il chiodo era entrato nel foro avrebbe sforzato il chiodo (lo avrebbe fatto "espandere") garantendo anche qui una buona tenuta;
- il terzo tipo era un po' più strano (e anche più "artigianale"). Era formato da una piastrina, del tipo di quella degli spit, e da una volgarissima vite da metallo, di quelle che si usano nei bulloni del "tredici". La vite passava nella piastrina, veniva martellata dentro al foro e il suo filetto si schiacciava fornendo la pressione sufficiente a garantire una buona tenuta. Particolarità: dicevano che la vite si sarebbe potuta togliere girandola in senso antiorario e quindi si sarebbe potuto recuperare la piastrina.
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Messaggioda danielegr » sab gen 26, 2008 14:43 pm

Così, tanto per far qualcosa, mi è venuta voglia di raccontare una fra le mie ultime arrampicate: lo spigolo Nord del Badile (anno? direi 1961 probabilmente verso Luglio)
Un venerdì decidiamo di tentare: usciti in gran fretta dall'ufficio e indossati i panni da montagna nell'ufficio stesso, io e l'Angiolino, che era stato mio allievo alla Parravicini, partiamo con la moto dell'Angiolino. Tutto bene fin sul lago di Lecco, dove ci prende una gran pioggia. Che facciamo? beh, aspettiamo un po' vediamo il tempo che intenzioni ha. Hai visto? è durata solo un'oretta e possiamo ripartire:speriamo che domani non faccia scherzi. Vai Angelo, metti in moto che il Badile ci aspetta...
Però intanto un'ora se ne è già andata e la strada è ancora lunga: arriviamo a Bondo e da lì c'è ancora un pezzo di strada percorribile con la moto, poi però non è più possibile e intanto si è fatto buio. La capanna Sciora è lontana e per colpa dell'imprevista sosta causa pioggia non ce la faremmo ad arrivarci stasera. Non abbiamo portato pile, non conosciamo il percorso: andiamo avanti fin che si può fino ad un gruppo di ruderi, adibiti a ricovero bestiame e a fienili: ne troviamo uno che ha la porta che riusciamo ad aprire e ci mettiamo a dormire nel fieno.
Non avete idea di come si dorma bene nel fieno, ci si sta caldi, in mezzo ad una cosa morbida, profumata, naturale. Non era la prima volta che lo facevo, purtroppo però è stata l'ultima.
Al mattino, alle prime luci io incomincio a pensare nel dormiveglia: che ore saranno? forse sarebbe bene alzarsi e ripartire, però qui si sta così bene.. ancora un quarto d'ora di sonno.. Ma quel disgraziato dell'Angiolino è già lì in piedi, bardato di tutto punto, che scalpita per partire: in fondo ha ragione lui, forza Daniele, bando alla pigrizia e salta in piedi.
Con la luce non è difficile individuare il percorso fino alla Sciora: una breve sosta per mangiare qualcosa, tirare il fiato, poi si riparte.
Primo intoppo: attacchiamo lo spigolo troppo in basso, avremmo dovuto attraversare un nevaio e attaccarlo più facilmente più in alto, ma il nevaio era ghiacciato e non avevamo le piccozze, quindi facciamo di necessità virtù.
Secondo intoppo: il verglas, non tantissimo, però abbastanza da rompere le scatole...
Finalmente, quando il sole arriva a riscaldare la roccia i problemi svaniscono e andiamo su in perfetta allegria e tranquillità.
La salita non è particolarmente difficile, se la memoria non mi inganna direi intorno al terzo grado con diversi passaggi di quarto. E' chiaro che mi riferisco ai gradi dei miei tempi, non a quelli attuali che non conosco.
La sto facendo troppo lunga: il seguito domani o dopo. Saluti a tutti.
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Messaggioda danielegr » lun gen 28, 2008 15:05 pm

ed ecco il seguito del ricordo dello Spigolo Nord del Badile, sempre che interessi.

Seconda parte: l'arrampicata è bellissima, la roccia sana, d'altronde è granito, non ci sono chiodi ma non se ne sente la necessità. Arriviamo a una spalletta, circa a due terzi di salita o forse più. E' il caso di fermarsi un attimo a fare uno spuntino e a valutare che strada fare. Sopra di noi lo spigolo si alza verticale: cosa che in granito, di solito, indica difficoltà molto elevata. Scartiamo la salita diretta allora. Ma lì, verso sinistra c'è una cengia, sembra invitante e dovrebbe portare verso un canaletto che, a prima vista, sembrerebbe abbordabile. Tentiamo di lì allora: ma, porca l'oca... dopo mezzo tiro mi rendo conto che siamo ben lontani dal quarto grado che dovremmo trovare, qui le difficoltà sono parecchio superiori e lassù in alto quello che vedo non mi pare per niente invitante... Mi ricordo allora (ma non potevo pensarci prima?) quello che ci aveva detto un amico: ?non lasciatevi tentare dalla cengia sulla sinistra, vi porta sulla Nord-Est, tirate su diritto?. Scendo in libera il tratto che avevo già percorso e ritorno sulla spalletta e guardo un po' meglio lo spigolo verticale. Sì, c'è un paio di metri che sembrano duri, però un po' di appigli si vedono, poi sopra la pendenza si addolcisce... proviamo un po' a salire direttamente.
Beh... è tutto qui? Ma è facilissimo... pensa un po' in quali pasticci mi sarei andato a cacciare se avessi insistito a proseguire!!
Oramai è fatta, c'è ancora un po' da arrampicare (se non ricordo male la salita è di circa un migliaio di metri, tenendo conto del fatto che abbiamo dovuto attaccare più in basso del solito) ma lo spigolo Nord del Badile è sotto di noi: ecco la vetta!!
Breve sosta in vetta, poi la discesa. La normale del Badile non presenta problemi, si può scendere tranquillamente, in molti tratti procedendo di conserva. E poi la conosco, l'ho percorsa diverse volte. Le difficoltà sono intorno al secondo grado, con un paio di passaggini di terzo, niente di impressionante e il tempo tiene. L'unico problema è imboccare, verso la fine della discesa il percorso giusto: sembrerebbe logico proseguire diritti, invece bisogna girare a sinistra, però per fortuna hanno messo un ?ometto? e non si può sbagliare.
Quindi arriviamo alla Gianetti: un po' stanchi per la verità, un bel thè è proprio quello che ci vuole per tirarsi su, visto che domani dovremo tornare a Bondo per riprendere la moto. Ci faremo spiegare la strada dal Fiorelli, dovrebbe essere faticosa ma bella.
Sì, ma cosa succede? non riesco a tirare su la tazza del thè... Le mani sono ?sgarbellate? dalla lunga salita sul granito che le ha spellate, e il calore della tazza è insopportabile: l'unica è prendere la tazza con l'esterno delle mani, dalla parte del mignolo e facendo pressione con ambedue le mani portarla alla bocca, sperando di non farla cadere..
Al rifugio arrivano poco dopo due nostri amici: loro, certamente più bravi di noi, hanno fatto il Cengalo per il Ferro da Stiro, e anche loro hanno il problema di dover tornare a riprendere la macchina: faremo una comitiva unica. No! ma guarda che botta di c... ci sono anche altri amici che invece hanno lasciato la macchina a Bagni di Masino. Allora è semplice: ci facciamo portare a Morbegno, staremo un po' stretti in sei in macchina ma quello non è certo un problema; da lì la macchina con l'Angiolino e il proprietario dell'altra macchina proseguiranno per Bondo, recupereranno i mezzi e ci verranno a riprendere.
Qui mi dovreste permettere una parentesi triste. Al ritorno della macchina ci fu un battibecco fra un vigile e uno dei miei amici per una questione di parcheggio della macchina. Giuseppe de C., il mio amico, alzò un po' troppo la voce e al vigile girarono le scatole. Multa e minaccia di denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale.
La cosa non ebbe seguito, perchè la settimana dopo Giuseppe cadde nel gruppo del Bianco in seguito alla caduta di una cornice.

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Messaggioda kala » lun gen 28, 2008 16:27 pm

danielegr ha scritto:...


Avvincente!

Ma qualcosina di più Dolomitico? (sai, faccio fatica a seguirti su cime tanto lontane... :oops: )

:mrgreen:

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Messaggioda danielegr » mer gen 30, 2008 12:42 pm

Visto che me l'avete chiesto, cercherò di dire qualcosa sulle mie salite in Dolomiti, anche lì c'è solo l'imbarazzo della scelta: mi ricordo di più la salita dello Spigolo del Velo, nel gruppo del Sass Maor (Pale di San Martino).
Eravamo io e Roberto, quello stesso della salita tra tuoni fulmini e saette al Pizzo Porcellizzo, era il mio compagno di cordata classico. Avevamo fatto base ad un rifugio appena al di la del Passo di Ball, il Rifugio Pradidali. Eravamo partiti con la Vespa da Milano e arrivati a San Martino di Castrozza, per evitare la salita con zaini ultra-pesanti (avevamo portato dietro le provviste per i previsti quindici giorni di ferie) prendemmo una seggiovia che ci portò al rifugio Rosetta in un vasto pianoro (non ricordo il nome), attraversato il quale ci si affacciava ad un passo e da lì ci si scendeva nella valle (credo si chiami la Val Cismon) a metà della quale c'era il Rifugio Pradidali.

Immagine

Per alcuni giorni non ci spostammo dalla zona, da arrampicare ce n'era fin che se ne voleva: le Pale di San Martino, il Pilastro, il Campanile Pradidali. Chissà perchè abbiamo snobbato la Cima Canali, abbiamo preferito altre mete. Una volta abbiamo incontrato al Rifugio la guida Quinto Scalet, che era in rapporti di amicizia con Roberto e che ci accompagnò sul Campanile.
[Mode lamentela ON]: siccome quelle salite le avevo fatte più o meno mezzo secolo fa è stato necessario rinfrescarsi la memoria, soprattutto per i nomi, utilizzando Google e simili. Ho quindi visto fotografie, letto relazioni di salite eccetera. Ma veramente è ridotta così adesso quella zona? percorsa da ferrate? Chiodata fino all'eccesso? E' meglio che non commenti... [Mode lamentela OFF]
[mode stupidaggine ON]
Ho parlato del passo di Ball: trae il nome dall'alpinista, botanico e naturalista irlandese John Ball (Dublino 1818;Londra 1889). Secondo una leggenda esplorava le nostre montagne insieme a Francis Fox Tuckett, alpinista (Frenchay, 1834 - 1913) : formavano la famosa cordata antiiettatoria... Tuckett i Ball... scusate la battuta scema...
[mode stupidaggine OFF]
Nella testa però avevamo soprattutto una salita che ci era stata raccomandata: lo Spigolo del Velo, che era classificata come un quarto grado continuo con alcuni tratti di quinto. Decidiamo di provarci, anche se non eravamo certissimi di farcela perché avevamo appena finito il corso di roccia alla Parravicini. Non c'erano, allora, rifugi nella zona della Cima della Madonna (ho visto su Google che in seguito venne costruito un bivacco, poi sostituito da un vero rifugio) e farla dal Pradidali era lunghetta...
Quindi attraversiamo il passo di Ball, scendiamo a San Martino e vediamo se c'è qualche malga o qualcosa di simile per abbreviare un po' l'approccio che, se non ricordo male, da San Martino è sull'ordine delle quattro ore di marcia.
Troviamo, dopo circa un'oretta, una malga e il malgaro ci permette di dormire nel fienile (a pagamento, beninteso, non sia mai che si faccia qualcosa gratis... però ci offre anche del latte appena munto che era una bontà). E' stata la prima volta che ho dormito nel fieno. Al mattino, partenza per lo spigolo: la marcia è lunga ma non particolarmente faticosa e finalmente si attacca.
Ultima modifica di danielegr il sab feb 02, 2008 16:12 pm, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda danielegr » ven feb 01, 2008 12:27 pm

Seconda parte: c'è davanti a noi una cordata di tedeschi: almeno ci indica la strada, speriamo solo che non scarichino sassi...
Non so come mai su un tratto facile perdiamo terreno rispetto ai tedeschi, però oramai si capisce dove si deve passare: c'è una parete non troppo ripida che finisce, si vede abbastanza bene, in un canaletto. O forse è il camino del quale ci avevano parlato? ci avevano detto che era il punto chiave della salita, insieme ad un'altra parete più in alto.
E' il camino (del quale però non ho più trovato traccia nelle relazioni che in questi giorni ho letto, strano): a guardarlo non sembra poi così cattivo, anzi, l'inizio è abbastanza invitante. Il camino lo devo ?tirare? io, e allora vai Daniele...
Uno dei vecchi che mi avevano insegnato ad arrampicare, mi pare fosse il Pompeo Marimonti, quello che aveva tracciato diverse vie in Grigna e in Masino intorno agli anni '20 diceva: sasso toccato, sasso giudicato, per farci capire che non si poteva, da lontano, valutare bene la difficoltà di una salita. E come aveva ragione... sembrava facile ma non lo era neanche un po'. Stretto, con una parete pressochè verticale e l'altra strapiombante, entrambe lisce, l'unico modo per salire era la contrapposizione, ma anche quella teneva poco.
Alla fine però ce l'avevo fatta, vieni su Roberto. Sarò stato stronzo, ma vedere che anche lui malgrado salisse da secondo facesse una fatica boia e lo facesse capire con colorite espressioni, aveva molto aumentato la mia autostima...
Si proseguiva poi per lo spigolo, non particolarmente difficile, roccia ottima, buona esposizione: una gran bella arrampicata. E arriviamo al secondo passaggio chiave: me lo ricordo un po' meno perchè chi ?tirava? era Roberto.
Ricordo che da una spalletta si attaccava una parete verticale, abbastanza liscia. Roberto ci prova un paio di volte e finalmente (espressioni colorite ancora...) riesce a passare. Tocca a me, non mi pare impossibile (da secondo è tutto più facile, chissà perché...) e in breve raggiungo il mio compagno.
Non vediamo più la cordata dei tedeschi, o siamo lenti noi o hanno il turbo loro.
Sopra quel passaggio (mi ricordo benissimo la frase) la guida diceva:«la pendenza e con essa le difficoltà diminuiscono». Roberto (altre espressioni colorite, ma credo che non si scandalizzi nessuno) disse ? Un caz.o!! la pendenza diminuisce ma le difficoltà aumentano...? Non era vero, dopo poco la salita si fa nettamente più facile e si arriva alla cima.
Oh, finalmente, ce l'abbiamo fatta!! Dieci minuti di riposo e poi bisogna pensare alla discesa. Non me la ricordo molto, mi pare che ci fosse una doppia, e poi delle roccette facili che portavano ad un canalone pietroso, ma non complicato, che ci riporta sul sentiero per tornare indietro. Arriviamo alla malga del giorno prima: Roberto vorrebbe (con poca convinzione, però) tirare diritto fino al rifugio Pradidali. Io proprio non me la sento: incomincio a essere stanco, e l'idea di scarpinarmi ancora due ore e mezzo/tre in salita non mi attira proprio. Decidiamo quindi di passare un'altra notte nel fienile.
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Messaggioda piobis » ven feb 01, 2008 17:44 pm

Che bello il racconto! E che bell'avventura! Ma esistono ancora i fienili oggi? E soprattutto la possibilità di dormirci? :?
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Messaggioda scheggia » sab feb 02, 2008 9:44 am

ma che bello lo spigolo del Badile!!!

la battuta antiiella è stupenda!
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Messaggioda danielegr » sab feb 02, 2008 10:35 am

Avevo dimenticato di mettere la foto dello Spigolo del Velo
eccola:

Immagine

Il Sass Maor è quello sullo sfondo, mentre lo spigolo del Velo è in primo piano.
Però a me non è mai piaciuto come sono nominate quelle cime, sarebbe stato più logico, a mio parere, chiamare Cima della Madonna quella sullo sfondo, che nella sua forma richiama una donna di spalle con un velo, appunto, che copre testa e spalle, e Sass Maor quello in primo piano, che più richiama l'immagine di una grosso macigno. Preciso che la foto rende l'idea decisamente meno bene del reale: visto dal vivo da San Martino il Sass Maor sembra proprio una donna seduta.
Avevo anche dimenticato di dire che, se la memoria non mi inganna, lungo la salita non abbiamo trovato chiodi
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Messaggioda danielegr » lun feb 04, 2008 12:34 pm

Un'altra (breve però) storia dal Rifugio Pradidali. Volevamo salire il Pilastro della Pala di San Martino. Le difficoltà non erano eccessive, un quarto grado inframmezzato da un po' di terzo, quindi ampiamente alla nostra portata.
Arriviamo in breve all'attacco, tempo ottimo, la roccia sembra ottima e partiamo. Alè Roberto, comando alterno e via alla grande!! Superiamo abbastanza in fretta la prima parte: dalla foto non pare ma la parete assume presto una forma concava: sembra quasi un catinone verticale. Confermiamo che la roccia è buona e saliamo bene, però... però.. cosa diavolo sono quelle nubi nere che stanno arrivando a tutta velocità? Non mi piacciono per niente... strano: quando abbiamo attaccato c'era un cielo sereno che era uno spettacolo...
Comunque oramai siamo in ballo e dobbiamo ballare: oltre a tutto siamo a circa metà parete, forse un po' di più, e tornare indietro diventa più difficile che andare avanti. Quindi si continua a salire. Appena fatto qualche metro arriva (e te pareva...) una gran pioggia. La parete, concava, sembra fare apposta a convogliare su di noi tutta l'acqua che le arriva giù. Per un po' aspettiamo sperando che passi, però vediamo che non passa e che a stare fermi prendiamo lo stesso tutta l'acqua che prenderemmo in arrampicata, e quindi... avanti o miei prodi!!! tanto non smette. Meno male però che di fulmini ne arrivano pochi e non sembrano vicinissimi. Roberto parte per uno dei passaggi più difficili e io sto a fare sicura, incastrato in una specie di diedro che sembra diventato un fiume in piena. L'acqua mi entra dal collo e se alzo un braccio per manovrare la corda mi entra anche da lì, mi lava alla perfezione e alla fine esce dagli scarponi. Sono un po' preoccupato per la discesa che so essere facile ma di difficile orientamento. Con questo tempo sarà ancora più difficile capire da dove passare. Passo al comando io e supero uno spigolo... ma che succede... un vento così non l'avevo mai sentito, meno male che sta quasi smettendo di piovere: mancheranno un centinaio di metri o poco più alla vetta e non dovrebbero essere difficili. Roba da non crederci: per arrivare in vetta ci avremo messo poco più di mezz'ora, forse un'ora e ci arriviamo PERFETTAMENTE ASCIUTTI!!! Merito del vento che ora, arrivati in vetta, ci fa un altro favore: via tutte le nubi e un bel sole che ci restituisce il calore perso per via del vento!! Breve, brevissima sosta, non conosciamo la discesa ed è meglio non perdere tempo. Un po' con l'intuito, un po' con la descrizione della guida riusciamo a non sbagliare strada e chi vediamo? Il Quinto Scalet che si era preoccupato per noi visto il maltempo, ed era salito fino a metà circa della via di discesa per darci una mano se ne avessimo avuto bisogno, e per indicarci il percorso giusto. Dopo averci indirizzato sulla strada giusta e aver visto che riuscivamo a cavarcela, Quinto se ne torna al Rifugio. E anche noi, oramai asciutti e fuori dalle ?pettole? ce la pendiamo con più calma, facciamo un'altra breve sosta e rientriamo al rifugio.
Questa foto l'ho trovata su Internet, ma il tracciato non mi convince, mi pare che l'attacco fosse più in alto nel canaletto.
Immagine
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Messaggioda danielegr » gio ago 13, 2009 11:59 am

Volevo riprendere un pochino questa vecchia discussione che avevo oramai abbandonato, perchè vedevo che la ?mia? Montagna era troppo diversa da
quella che viene vissuta oggi. Poi però mi è venuto il dubbio: è giusta la ?mia? Montagna, oppure quella di oggi, quella di Preuss, o quella di De Saussure? E sono giunto alla conclusione che sono tutte giuste: è lo scorrere del tempo che cambia l'angolo di visione, per cui a me piace un certo modo di concepire la montagna, ad altri piace un altro modo. Ma non posso ergermi a giudice e dire che è meglio questo o quello. Però dovete permettere ad un vecchio brontolone di pensare, e magari anche di dire, che quando vede una relazione sulla via Albertini ai Magnaghi in Grigna che parla di 6 rinvii, di fix cementati, di clessidre (cosa diavolo sono?) di friends, di dadi e simili, o di corde doppie per la discesa dal secondo Magnaghi gli viene il ?mal della pecòla? (i non milanesi chiedano ai locali cosa vuol dire).
Terminerei qui con la parte polemica, perchè, in effetti, l'intenzione era di parlare di quello che ai tempi di Matusalemme (cioè ai miei) era il nostro pranzo in montagna. L'ideale, e lo sapevamo bene, sarebbe stato mangiare con le gambe sotto a un tavolo in rifugio, ma c'erano alcuni problemi. Il primo era che all'ora di pranzo di solito si era ancora in parete, il secondo, altrettanto se non più importante era che in genere i custodi dei rifugi volevano essere pagati per il pranzo...
Quindi bisognava arrangiarsi, chiedere alla mammina di preparare qualcosa e portarsela dietro. Ognuno aveva le sue preferenze: bisognava cercare qualcosa che fosse stimolante per l'appetito, perchè in genere lo sforzo della salita può far passare la fame, che fosse di facile digestione, semplice da mangiare e via dicendo. Io andavo decisamente contro corrente: predicavo bene e razzolavo malissimo, dopo aver provato innumerevoli combinazioni, alla fine il mio menù fisso era diventato questo:
innanzitutto una bella porzione di savoiarda; proprio così: testina di vitello disossata, soppressata di testa, lingua, peperone rosso e giallo, cipolline e cetriolini sott'aceto, e, naturalmente, cipolla. Proprio un cibo leggero, di facile digestione e soprattutto comodo da portare e che non sporca (una volta mi si è aperta la scatolina della savoiarda e... non vi dico cosa era diventato il mio zaino);
Poi una cotoletta alla milanese in un panino. E da bere? Niente. Ci eravamo abituati a bere al mattino, prima di partire qualcosa di tiepido, un tè, per esempio, e non sentivamo la sete per tutta la giornata. Per favorire la salivazione durante la salita succhiavamo un nocciolo di prugna o qualcosa di simile. Poi alla sera, naturalmente, facevamo il pieno... Assolutamente bandito fino al rientro al piano qualsiasi tipo di alcol.
Credo che qualsiasi esperto di alimentazioni in montagna mi avrebbe pesantemente insultato a vedere cosa mi portavo dietro, però io così mi trovavo bene: il cibo era abbastanza stuzzicante da diventare appetibile anche in condizioni di fatica, a quell'età digerivo anche i sassi... insomma mi trovavo bene e non vedevo motivo di cambiare.
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