Parcheggiamo l?auto a Pian Meluzzo. Siamo in due: kala ed io. Sono le 7 di mattina quando ci inoltriamo a piedi lungo la piatta mulattiera che dopo aver attraversato l?ampio pianoro verdeggiante piega a destra e imbocca la ghiaiosa val Postegae. Al momento buono lasciamo il sentiero principale e imbocchiamo una traccia che si vede iniziare sul lato opposto del torrente e che è stata ?dismessa? dall?Ente Parco il quale non ne cura più la manutenzione. Evidentemente il magro bilancio costringe a scegliere, e allora questo sentiero n.387 è stato considerato non essenziale, turisticamente poco interessante. Ma la segnalazione sul terreno è ancora ben presente e la traccia ben marcata. Sulla carta Tabacco questa traccia figura in colore nero e senza numero: un eccesso di scrupolo da parte del cartografo, stavolta decisamente troppo zelante. Risaliamo il bosco e infine il ripido pendio terroso-ghiaioso fino al passo Pramaggiore, che dall?altra parte sprofonda nella val Settimana.

Veduta dal passo Pramaggiore verso i Monfalconi
Il nostro percorso a questo punto procede lungo la cresta di destra. Sulla carta Tabacco è tracciato mediante un?incerta sequenza di minuscoli puntini neri.
Il cielo però non si è ancora liberato dai densi vapori mattutini che sembrano voler indugiare proprio ad una quota molto prossima alla nostra. Siamo un po? preoccupati, se la nebbia dovesse infittirsi va a finire che dovremo forse rinunciare a proseguire. L?orientamento infatti in questo caso risulterebbe difficile, poiché il nostro percorso risulta solo saltuariamente segnato con ometti e con bolli rossi molto stinti. Fortunatamente le nuvole sembrano volersi sollevare, e allora ci incamminiamo risalendo il pendio.

La cresta che si diparte dal passo Pramaggiore

Il Pramaggiore si leva al di sopra del passo omonimo fendendo la nebbia

La prosecuzione della cresta appare incerta tra la nebbia
Ci muoviamo al limite della nebbia in una luce irreale. Raggiungiamo una modesta elevazione dalla quale negli sprazzi di maggiore visibilità ci appare la prima delle due elevazioni maggiori che raggiungeremo: la Cima Cadin.

La Cima Cadin
Avanziamo in questa luce opalescente, quando improvvisamente dal pendio erboso spuntano due sagome inconfondibili. Ci avviciniamo lentamente, le due teste si voltano verso di noi, e poi emerge anche il resto del gruppo.

Stambecchi nei pressi di Cima Cadin
Le corna sono imponenti, i movimenti pigri e indolenti. Quando ci avviciniamo un po? troppo per quanto il loro senso della privacy può sopportare si alzano svogliatamente e guadagnano opportuna distanza.

Stambecchi nei pressi di Cima Cadin
Sembra che ci guardino con ostile indifferenza, sono nervosi, si scambiano qualche breve incrocio di corna a testa bassa.

Stambecchi nei pressi di Cima Cadin
Passiamo quasi in punta di piedi.
Ecco la Cima Cadin, un ripido pendio da risalire e siamo in vetta dove una minuscola croce spunta inserita al vertice di un ometto.

Sulla vetta di Cima Cadin
Scendiamo quindi lungo il versante opposto fino alla sabbiosa forcella Postegae.

Forcella Postegae
Da qui canaloni repulsivi sprofondano in val Postegae, mentre dalla parte opposta verdeggia una valletta da sogno.
Più oltre la cresta diviene tormentata, pinnacoli, torrioni ed erte pareti si innalzano a sbarrare la strada. In qualche modo le aggiriamo, fino a inerpicarci sulla maggiore elevazione del nostro tragitto: la cima Postegae Est.

La cima Postegae Est in primo piano, e più in fondo le Torri Postegae
Più oltre svettano le bellissime Torri Postegae, snelle e inaccessibili. Ma noi la sfioreremo soltanto, è adesso il momento di scendere in un canalone ghiaioso e roccioso prima, mugoso poi, fino a uno stretto intaglio.

La discesa dopo le Cime Postegae
Abbiamo raggiunto infatti la val Sciol De Mont, lungo la quale scenderemo.

L?intaglio innominato alla sommità della val Sciol de Mont

Veduta su Spalti e Monfalconi dall?intaglio innominato
Davanti a noi compare il selvaggio monte Ferrara, al cospetto del quale il povero kala diviene preda di allucinazioni riguardo a possibili vie di salita lungo erte pale prative invase dai mughi, e inizia così a farneticare su presunte quanto improbabili possibilità di passaggio. Se fossimo a 8000 metri direi che sono scherzi della quota, qui invece probabilmente soltanto del caldo e della fatica.

Il monte Ferrara
A stento riesco a distoglierlo dall?insana idea di attuare immediatamente il folle progetto, e a convincerlo a scendere lungo il franoso canale per concludere il nostro anello. Lungo la discesa ci adoperiamo per individuare le zone di ghiaia più fine e cedevole per lanciarci in piacevoli scivolate, ma il terreno è molto vario e discontinuo. Nei punti ove risulta più compatto riesco a stento a mantenere l?equilibrio a causa delle mie suole ormai troppo consumate.

L?intaglio innominato dal quale siamo scesi, visto dalla bassa valle Sciol de Mont
Davanti a noi si apre lo scenario degli Spalti e dei Monfalconi, tra i quali spicca il celebre Campanile di Val Montanara, il basso e arcigno monarca dell?intera regione.

Veduta sul Campanile di Val Montanaia
In qualche modo riusciamo a giungere al fondo e a incrociare il sentiero n.370 che scende dalle casere Bregolina e Roncada, e lungo un?ultima imponente fiumana ghiaiosa raggiungiamo il parcheggio dal quale eravamo partiti. Abbiamo percorso 12 km, 1.400 m di dislivello in salita e altrettanti in discesa. In tutto abbiamo impiegato 7h20m, spuntini, pranzo, bevute e cazzeggio compresi.
Davvero un giro di soddisfazione. L?Oltre Piave non delude mai.