Daffi ha scritto:E' una settimana che vivo da sola.
E' strano uscire da casa il sabato mattina con lo zaino in spalla per andare in montagna, e poi tornarci domenica sera, dopo una giornata passata in val di mello.
Ho provato, li' su una di quelle belle placche assolate che vedi dal sentiero, la sensazione limite di essere sul punto di farmi molto male, se non peggio, visto che la prospettiva era di cadere da una decina di metri a terra... certo, avrei forse cercato di rallentare la caduta, magari strisciando sulla roccia invece di rotolare giu', pero' la forza di gravità avrebbe fatto il suo dovere.
E' stato strano: la placca era liscissima, senza nessuna possibilità di usare le mani, solo fiducia nei piedi. La guardo, il mio compagno di cordata mi dice "vai tu?", e io vado, l'aderenza mi piace, e la placca era cosi' invitante; parto all'ombra, un momento di indecisione, ma scendere è gia' impossibile, e allora non mi rimane che salire ancora. Arrivo al sole, e la roccia al sole è quasi accogliente, a guardarla sembra perdere tutta la sua durezza, diventa un altro materiale, malleabile, e se avvicinassi il viso alla parete, sentirei quell'odore minerale, di anni di neve, pioggia, ghiaccio, vento, sole, formiche e lucertole.
Salgo 2-3 metri, poi mi accorgo che per arrivare al chiodo devo andare verso destra, e qui cominciano i problemi: l'aderenza è facile quando parti e vai su in verticale, senza pensarci troppo, quasi correndo... qui invece bisogna traversare, e la sicurezza di avere due piedi sui quali fare affidamento scompare.
Comincio a guardare verso il basso, e mi rendo conto che, se scendere è impossibile, salire vuole dire probabilmente cadere, perche' quando ti viene la paura di cadere, va a finire che cadi davvero.
Mentre sono persa dietro questi pensieri, vedo passare a due metri di distanza una ragazza che sale tranquilla, con la corda che la tira verso l'alto... e allora approfitto di questa fortuna, le chiedo aiuto e, tenendola per mano, faccio quei due metri che mi mancano per arrivare al chiodo.
Un sospiro di sollievo.
Poi, approfitto di un altro passaggio per arrivare al chiodo dopo, ormai, anche se la placca diventava piu' facile, la convinzione che avevo provato alla base era scomparsa... il resto è tutto nella normalità di una giornata di roccia, un po' di freddo, il sole, l'attesa, il paesaggio, le chiacchere con quelli che arrampicano vicino.
Lo rifarei domani... c'e' chi mi ha detto che questo vuol dire che non imparo dai miei errori... e forse è proprio cosi', ma quella placca ce l'ho ancora davanti agli occhi.
che bello Daffi..mi sono emozionata una cifra leggendo...
sul fatto di "non imparare dai propri errori"..beh che dirti..hai ragione..ma chi l'ha detto che non è meglio così?
