Rocca Castello - Via "Sete d'Oriente" - la storia

Area di discussione a carattere generale sull'arrampicata.

Rocca Castello - Via "Sete d'Oriente" - la storia

Messaggioda Liviell » mer giu 16, 2010 11:59 am

Ciao a tutti!

Vi chiedo un piacere:
due o tre anni fa lessi su questo forum l'inserzione di qualcuno che parlava della storia della via "Sete d'Oriente" alla Rocca Castello - Valle Maira
Prima salita: Januse Budzeiko, Daniele Caneparo, Krzysztof Dudzinski, Maurizio Oviglia, il 12 Febbraio 1984

Mi ricordo che dietro l'apertura di questa via c'era stata una storia curiosa e divertente legata ai due componenti stranieri del gruppo, ma...aimè...la mia memoria è labile e non ricordo molto bene la vicenda.

Ho provato a cercare quel messaggio in tutti i modi, ma non lo trovo più.

Qulacuno è in grado di scovarlo e riproporlo??

Grazie mille in anticipo! 8)
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Messaggioda grizzly » mer giu 16, 2010 16:56 pm

Basta che vai su FV e chiedi direttamente a Murisi...
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Messaggioda Liviell » mer giu 16, 2010 17:59 pm

Ah! Ma perchè!? Lui qua non ci viene?
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Messaggioda lorenz76 » mer giu 16, 2010 20:24 pm

Ecco Liviell,
complimenti per la via...

http://www.forum.planetmountain.com/php ... highlight=

troppo bello questo topic! :wink:
Lorenzo
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Messaggioda Liviell » gio giu 17, 2010 7:53 am

Grande Lorenz!! Grazie, sai sempre dove cercare nel posto giusto! :D
La via è molto bella! Valla a ripetere!!


Ripropongo questa bella storia postata tempo fa da "Alter-ego".

Sete d?oriente

Torino d?inverno è un acquerello triste ed incolore che ricorda certi quadri impressionisti di Parigi. Gli alberi spogli allungano le loro dita nere verso il cielo grigio, mentre la gente si affretta a salire sui tram e sui pulmann, con il terrore di fare tardi in ufficio. Parlano di Torino come una città operaia perchè qui c?è la Fiat, una fabbrica che dà lavoro a più di cento mila persone. In effetti quasi tutto a Torino ruota attorno alla Fiat: una piccola crisi di questa fabbrica lascerebbe senza lavoro centinaia di famiglie. Sono nato in questa città e sin da studente mi sono abituato alle ore in pulmann necessarie per raggiungere la scuola e poi il posto di lavoro, in silenzio, con lo sguardo perso nei vetri appannati, oppure scrutando tra i pensieri di decine di pendolari.
Un giorno poi sono entrato a lavorare in fabbrica, impacchettavo risme di carta nella cartiera di mio zio. All?inizio ci andavo in bicicletta, sedici chilometri ad andare e sedici a tornare respirando lo smog cittadino in sella ad una Olmo, abituata ovviamente più ai boschi e le montagne che non alle strade cittadine. Non avevo ancora sedici anni, e lo zio mi pagava a cottimo. 10 lire a pacco, riuscivo a fare 4000 lire in mezza giornata: mi sembrava una paga più che onesta. Mio zio era uno che si era fatto da solo, dai suoi non aveva ereditato alcunchè. Da ragazzo nato in un paesino della Val Maira era sceso in pianura e sgomitando e facendosi strada nella giungla padana era alla fine diventato industriale. Credeva nel liberismo economico, era naturale che anche io dovessi fare la gavetta senza favoritismi di nessun tipo. Ma io avevo respirato altra aria e quella vita non era scritta nel mio destino e lui lo sapeva. Dopo aver assorbito a sufficienza il piombo e il petrolio della tipografia, il lavoro in cartiera non mi era sembrato poi così male. Potevo impacchettare risme senza pensare a quel che stavo facendo, e allo stesso tempo sognare di essere lontano. A 19 anni lo zio mi regalò una 124 sport che non usava più. Era una macchina ridicola per un ragazzo quale ero io, ma non c?era certo di che lamentarsi. Di tutti gli amici di arrampicata che avevo, ero l?unico a possedere una macchina, non dovevo più fare quegli interminabili viaggi in bicicletta ed in pulmann. Nessuno osò mai prendermi in giro, tutti ringraziarono il cielo che aveva fatto piovere quel mezzo che rendeva possibile raggiungere valli che prima erano tabù. Con il ?carciofo verde? raggiungemmo il Devouly, dove spaccammo anche la coppa dell?olio, o il lontano Verdon, dopo aver guidato tutta la notte. Era la classica macchina da ?fighetto?, ma la trattavamo come un?R4...
Nelle sere dell?interminabile inverno torinese andavo ad arrampicare nella palestra del Palazzo a Vela, la prima palestra indoor d?Italia. Era un muro in cemento con varie prese in legno. C?erano anche alcune fessure regolari. Allenandomi su queste ero riuscito finalmente a ripetere la Fessura Kosterlitz in Valle dell?Orco, un punto di riferimento di quell?epoca, su cui fiorivano ogni tipo di leggende metropolitane. A tutti sembrava fuori di senno scorticarsi le mani sul cemento per diventare capaci di salire una crepa in un masso, a me sembrava di imparare un?arte marziale allora appannaggio solo di alcuni stregoni quali Gabriele Beuchod, che era grado di salire vie ad incastro addirittura senza corda.
Qui una sera conobbi Janusz e Krystof, due studenti polacchi scappati da Varsavia in seguito ai disordini legati a Solidarnosc. Sicuramente in Polonia erano ricercati dalla Polizia e non potevano ritornare, così stavano alla Casa dello Studente a Torino e frequentavano l?Università. Krystof e Janusz parlavano abbastanza bene l?italiano, Krystof addirittura colorito con vari termini piemontesi. Era uno spasso sentirlo! Con Krystof ci fu un?intesa immediata e fu normale andare ad arrampicare insieme. Era il contrario di me. Gli piaceva tirar tardi e frequentare belle ragazze, la montagna e l?arrampicata erano per lui solo un piacevole diversivo. Per me invece erano la vita stessa, l?aria che respiravo. Per questo mi squadrava sempre con un sorriso ironico e compassionevole. Ma aveva una grande ammirazione per me e mi avrebbe seguito ovunque, anche se spesso scuoteva la testa incredulo, specialmente quando gli proponevo un?uscita in invernale. Mai avrei immaginato che mi sarebbe capitato un polacco amante del sole e delle t-shirt!

Quella mattina di febbraio, dopo aver caricato Daniele, attraversai la città verso il centro dove avevo appuntamento con loro. Ma all?angolo della piazza c?era solo Janusz. Lo rispedii seccato a cercare Kris, ma nella sua camera non c?era e non si sapeva dove cercarlo, finchè lo trovarono addormentato in quella di una studentessa... avevamo perso un?ora e ci attendevano due ore di strada per raggiungere la nostra meta.
Imboccammo la Val Maira che era ancora buio, ma potevo indovinare la faccia di Kris con quel suo sorrisetto. Alla luce fredda del mattino la Rocca Provenzale si ergeva contro il cielo, come un enorme menhir. Questa era la valle dove era nato mio zio e parcheggiai la sua macchina alla fine della strada, contro un muro di neve, come la parcheggiavo nel cortile della sua fabbrica. Ma non c?erano quattro mura ad attendermi e ci avviammo tra i campi bianchi verso la nostra parete, mentre il sole cominciava già ad indorare le rocce quarzitiche.
Tutto scivolò via in fretta, ed aprimmo una bella via, non eccessivamente difficile, sulla parete della Torre Castello, a fianco al famoso Diedro Calcagno che da lì a poco avrei affrontato in solitaria. Ci ritrovammo tutti e quattro in cima nella luce limpida del pomeriggio invernale, mentre il sole stava velocemente scendendo dietro la cima dello Chambeyron. Battezzai la via Sete d?Oriente, in omaggio ai foulard di Kris, ma anche ai libri di Hesse, che riempivano le mie notti di allora. Raggiungemmo la macchina che era nuovamente buio e la città mentre si stava preparando ad un nuovo lunedì di lavoro.

Successivamente ho perso le tracce di Kris e Janusz. Scaduto il permesso di soggiorno, l?unica alternativa per Kris di restare in Italia era sposarsi con un?italiana e trovare un lavoro. Riuscii a procurare un?amica cinquantenne di mia madre disposta ad un matrimonio di facciata, in modo da evitare la partenza per la Polonia. Kris si sposò, ma di lì a poco io lasciai Torino e la vita ci divise. Forse, quando la situazione poltica del loro paese si è normalizzata, Kris e Janusz sono tornati in Polonia. Forse stanno arrampicando in inverno sui Tatra, forse sono padri di famiglia con un lavoro sicuro e ben retribuito ed hanno dimenticato l?alpinismo...e quella bella giornata di un lontano febbraio.
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Messaggioda grizzly » gio giu 17, 2010 8:15 am

Brau Liviell per la salita. Magari racconta qualcosa ti, di un po' meno datato... che non quelle robe da vejas lottatori dell'Alpe... eh... ai miei tempi... :lol:
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Messaggioda Liviell » ven giu 18, 2010 9:35 am

Bè, la mia di storia relativa a questa via è un pò travagliata ma ve la racconto volentieri perchè son bei ricordi:

Premetto che per me la Castello è sinonimo di romanticismo alpino, lassù ho sognato e vissuto alcune delle mie più belle e sofferte salite (pur restando nel mio livello basso intendiamoci, ma non mi importa, ognuno al proprio livello, la gioia è sempre la stessa).
E' una montagna per me leggendaria e anche se rimane tutt'ora il posto dove scalo peggio (non riesco e leggere bene la roccia) mi ha sempre attirato come una calamita.

Dicembre 2008, io e il mio socio abituale abbiamo in programma un viaggio in Kenya in gennaio per scalare la parete sud e la nord del Mount Kenya (5199 m). Per noi è un progetto spaziale, una roba fantastica, è il primo viaggio così lungo e così lontano che facciamo in chiave alpinistica. Siamo galvanizzati da paura! Decidiamo dunque che dobbiamo fare una salita alpinistica in "invernale" dalle nostre parti, un pò più dura di quello che ci aspetterà laggiù in quanto qui non c'è la quota, ma soprattutto con zaini carichi con materiale da bivacco e un pò di cibo. Potevamo andare a fare qualcosa di già salito (scelta consigliata), ma noi due ogni tanto abbiamo delle idee un pò "distorte" e così decidiamo che il nostro obiettivo sarà una via nuova, ed ecco che dalla guidina del Massari salta fuori SETE D'ORIENTE !! Ci sembra perfetta.
Arriva il giorno stabilito.
Chiappera, partiamo per il pendio nevoso con le ciaspole che già il sole inizia a illuminare in alto la parete est della Castello. Arrivati alla base della est della Rocca troviamo subito l'attacco, siamo molto motivati, di neve sembra essercene solo sulle cenge e terrazzini. Tiriamo come al solito le pagliette e tocca a me partire. Il tiro mi impegna assai, lo zaino fa subito il suo sporco lavoro e arrivo alla scomoda sosta che son bello stanco. La salita risulterà per noi impegnativa perchè spesso da cercare, chiodi quasi nessuno e tempo che passa veloce facendo si che arriviamo alla sosta sotto la zona strapiombante, al tiro più impegnativo, che siamo in piena ombra e non fa caldo.
Tocca di nuovo a me andare, leggiamo bene bene la relazione e parto. Un tettino atletico tutto a sinistra, una placca con fessura e poi un traverso orizzontale a destra su un?esigua lista mi riportano proprio sopra al mio socio, ma tra me è lui c?è il vuoto. Imbocco la fessura che mi permetterà di uscire dal bombamento che ho sopra, ci sono due chiodi, almeno la via è quella giusta, però sono un po? agitato e la posizione che ho è moolto aerea, il che non gioca a mio favore. Studio i passi fin dove posso vedere e poi parto deciso, rinvio il secondo chiodo velocemente, troppo velocemente, e quando gli sono praticamente sopra? ZANN!! Merda!! Ho incrociato male le corde e mi sono incastrato!! Errore madornale!! Disarrampico in pieno affanno con il pensiero che ad ogni movimento va allo zaino bastardo che mi tira giù finchè mi riporto sulla lista. c***o!! Non ci voleva?.
Da li in poi, per circa un?ora, riproverò almeno 5 o 6 volte, ma la stanchezza fisica e soprattutto mentale farà si che batta in una complicata ritirata sino al mio socio. Lui non può più tentare, è tardi ed è tutto tremolante. Ritirata.

In Kenya ovviamente ci andiamo e sarà un viaggio bellissimo, ma con la Castello sappiamo tutti e due che c?è un conto in sospeso, che prima o poi andrà saldato.

Il momento arriva l?ultimo sabato di Maggio di quest?anno, e all?ultimo decidiamo di portare con noi un ragazzo che più volte mi disse di voler provare a fare una via lunga, ma soprattutto in ?montagna?. E direi che con questa potevamo accontentarlo alla grande.
Sarà una giornata bellissima, questa volta non abbiamo lo zaino che pesa, siamo più preparati e poi la via l?abbiamo già percorsa più di metà, insomma, sarà una bella cavalcata. Riproponiamo i tiri come la volta prima e quando mi ritrovo sotto al fatidico passaggio non nego che un po? di affanno mi assale, ma lo affronterò con decisione e la soddisfazione mista gioia, sbucato sull?aereo spigolo, sarà immensa. Usciremo velocemente in punta dove un bell?abbraccio sancirà come tutte le volte l?amicizia che ci unisce. Il nostro amico, che non aveva mai visto nulla oltre la pura falesia, rimarrà letteralmente estasiato, stupefatto, anche se a casa ci arriverà distrutto, e questo è stato un regalo bellissimo che ci siamo fatti io e il mio socio. Oltre alla rivincita su questa bella via abbiamo fatto scoprire un nuovo mondo ad una persona che da tempo aspettava solo il momento giusto.

Fine 8)
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Messaggioda grizzly » ven giu 18, 2010 9:54 am

Olè, bel racunt... ogni via una storia da raccontare... :D
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Messaggioda presaviscida » ven giu 18, 2010 12:55 pm

brau liviel..
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